La seconda nascita del neonato: la nascita dell’Io
Dopo la nascita inizia quel delicato periodo di rinnovamento sulla diade madre-bambino che passa dalla fase simbiotica uterina a quella neonatale, in cui empatia, segni e segnali costituiscono uno spazio uterino mentale molto più vasto di quello corporeo, con un nuovo periodo di gestazione che porta il neonato verso un altro parto: la nascita dell’Io.
Il neonato già nelle prime settimane di vita è in grado di riconoscere alcune note fondamentali presenti nella voce o nel canto della madre e di riprodurle nei suoi vagiti. Nel primo semestre assistiamo forse alla maggiore attività lallatoria e vocale del bambino, con una vasta capacità di passaggi di scale e semitoni e varietà di ritmi che regredisce notevolmente con l’acquisizione del linguaggio. Il mondo sonoro è un fatto privato perché ogni tappa, ogni momento di crescita è sottolineato, marcato da voci, suoni e rumori che possono essere la chiave d’accesso ai file della memoria emotiva, come hanno dimostrato alcune suggestive uscite da stati comatosi evocate da materiali sonori.
La nascita di un’educazione vocale per arrivare ad articolare il linguaggio pone delle limitazioni all’investimento libidico vocale e alla sua erotizzazione, e apre però nuovi orizzonti comunicativi e autoaffermativi. Si può stabilire un certo parallelismo con l’educazione sfinteriale, che di solito viene più pressantemente richiesta o pretesa. Quando si parla di cacca e pipì con i bambini è noto che loro si divertono, mentre gli adulti, anche quelli che necessariamente fanno uso della voce nella psicoterapia, esprimono imbarazzo e resistenze.
La fase orale e quella anale sono tappe importanti e difficili, che già nel primo anno di vita possono condizionare il futuro carattere del bambino. E che spesso gli adulti contribuiscono a rendere complicate e insuperate, per difficoltà contro-transferali.
La nascita dell’Io e il suo rafforzamento sono gli assi portanti di uno sviluppo sano e favorevole. Ogni disturbo di questo importante processo può già creare i presupposti di psicopatologie gravi come l’autismo, le psicosi, i borderline, che sono caratterizzate da Io parziali, disgregati, scissi, fragili e fortemente narcisistici.
La nascita dell’Io e il mito: Narciso ed Eco
Narciso nasce da un concepimento clandestino: un dio, invaghito di una bella ninfa, si trasforma nel fiume in cui lei fa il bagno e la possiede a sua insaputa.
Dunque, la prima metafora è quella sul concepimento, in cui le figure dei genitori sono rappresentate come infantili, casuali: la madre non è consapevole, il padre la possiede e sparisce, consentendo al figlio — come nei casi di figli di N.N. — fantasie di identificazione con un genitore onnipotente.
Narciso cresce bello e precoce, ma senza una vera triangolarità familiare — e questa mi sembra la seconda possibile metafora.
La terza è quella della risposta che Tiresia, interrogato dalla madre di Narciso, dà sul futuro del bimbo: «Vivrà a lungo purché non si specchi (o non si conosca)».
Va ricordato che Tiresia è lo stesso che — interrogato da Edipo, altro bambino con problemi dell’Io — dice che è molto meglio per lui non sapere la verità. Triste parallelo, visto che sia Narciso sia Edipo, di fronte al tentativo di avere una visione consapevole della loro realtà personale, naufragano uno nella morte, l’altro nella cecità — metaforicamente due livelli di patologia mentale. L’avvertimento sibillino di Tiresia, altro personaggio cieco e narcisista, può proporre sia il problema delle angosce derivanti da una visione introspettiva profonda dell’inconscio — una sorta di specchio impietoso da cui ci si deve difendere a ogni costo — sia il problema di cosa sia davvero vivere ed emanciparsi o lasciarsi sopravvivere in una specie di stato di gestazione perenne che non richieda come oggetto finale continue rinascite.
Nella sua vicenda, a un certo punto Narciso incontra Eco, ninfa condannata a non poter parlare ma solo a ripetere le frasi degli altri. Metaforicamente, la sua condizione rappresenta un’altra tappa del cammino infantile: l’incarceramento difensivo dell’identificazione simbiotica che porta dall’imitazione necessaria dei modelli genitoriali a una sorta di ecolalia mentale indiscriminata, cioè il bisogno di possedere l’oggetto amato essendo non solo come lui ma confondendosi con esso.
Così Eco assiste impotente alla disgregazione di Narciso, e di lei rimane solo il lamento ripetitivo perso nei boschi.
Il dramma finale di Narciso è metafora del problema del riconoscimento del sé e dell’uscita dal narcisismo primario fisiologico — altra tappa fondamentale del primo anno di vita infantile. Narciso prima si guarda e non si riconosce, innamorandosi della propria immagine — il che sottolinea l’uso arcaico della vista che è di possesso quasi orale-incorporativo, piuttosto che distruttivo e conoscitivo. Poi Narciso sembra riconoscersi, ma si incanta e inizia la sua spirale conflittuale ossessiva che intende mantenere il controllo onnipotente e invece lo porta alla consunzione e alla morte mentale.
Ho voluto citare questi miti per dare un’idea della ricchezza e della complessità di questa parte importante dell’infanzia che a volte scopriamo solo incontrando i drammi della malattia mentale, con qualche esagerazione provocatoria e di controtendenza rispetto allo scarso interesse che circonda la rappresentazione del neonato come persona in fieri.
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