Persona immersa nella foresta, circondata da scimmiette curiose: una scena vivace che richiama l’Amazzonia dei corpo-pensieri.

Estratti

By Psicosinfonie

L’Amazzonia dei corpo-pensieri

Qual è stato il percorso che il dottor Guido Buffoli ha intrapreso, per addentrarsi nell’Amazzonia dei corpo-pensieri? E cos’è, poi, l’Amazzonia dei corpo-pensieri? Ha a che fare con l’Amazzonia vegetativa che tutti conosciamo? E se sì, in che modo? In che termini?

In questo estratto dal suo ultimo libro — Umanosfera. L’Amazzonia dei corpo-pensieri. Appunti di viaggio — sono raccolte le riflessioni che hanno accompagnato il dottor Guido Buffoli durante il suo viaggio nella giungla del pensare umano.

In partenza per l’Amazzonia

“Ho intrapreso inconsueti percorsi paralleli, per comprendere la complessità della natura dei pensieri — anzi, dei corpo-pensieri — e dell’umanosfera, ascoltando quella parte della mia mente che, pur percependoli, aveva un volume abbassato, spesso coperto dal rumore della pubblicità.
Per promuovere un ascolto nuovo, meno condizionato, sono dovuto uscire dalle costrizioni delle semplificazioni della razionalità, recuperando tracce di messaggi sparsi attraverso recettori sensibili alla propagazione energetica dei corpo-pensieri. Da tempo oscillavo fra momenti e spazi definiti — noti, ma raffermi — e flash emotivamente accelerati. Pur cercandone motivi, ricordi, interpretazioni, era come se quanto appreso e conosciuto fin ora non servisse abbastanza a orientarmi e rassicurarmi di fronte a sensazioni di imprevedibilità. Non ero sicuro di capire le interazioni fra quello che avveniva fuori e dentro di me, e i ragionamenti logici non aiutavano. Ero come bloccato. E quando sei bloccato è necessario resettare e ripercorrere le vie per vedere cosa ti è sfuggito, o dove ti sei smarrito. Mi sono perciò deciso a mettermi in viaggio, con maggiore convinzione di altre volte, ricordando una storia zen in cui il maestro, all’allievo che chiedeva di indicargli la via della saggezza, aveva mostrato un sasso sul sentiero. C’era un sentiero e un sasso… Per me c’era un groviglio di sentieri-pensieri, il bisogno di dipanarli, di sapere come si sviluppano e come condizionano il vivere.
C’era la giungla. Anzi, più precisamente, l’Amazzonia.”

L’Amazzonia, le Amazzoni e la giungla

“Nel mio immaginario, similmente a quello comune, l’Amazzonia evoca un lussureggiante, misterioso e impenetrabile intrico di natura. È anche un luogo assai difficile in cui vivere, da esplorare… ricorda “la selva aspra e forte” di dantesca memoria.
Il nome Amazzonia deriva dal Rio delle Amazzoni, chiamato così da Francisco de Orellana in memoria delle mitologiche Amazzoni, dal momento che nelle tribù Tapuias del luogo aveva incontrato molte donne guerriere.
Il mito delle Amazzoni riguardava donne guerriere in uno stato in cui comandava una regina senza re; era abolito il matrimonio e i maschi venivano esiliati, uccisi, o usati come riproduttori. Questa leggenda era presente in diversi popoli — anticipando i movimenti femministi — ma anche nella realtà esistevano donne che combattevano come guerriere accanto agli uomini. L’etimologia di Amazzoni derivava da “a-mazos”, senza mammella, in quanto si narra che queste guerriere si mutilassero un seno per tirare meglio con l’arco. Viene da chiedersi se già allora fossero presenti conflitti trans gender.
Forse Francisco aveva paragonato le donne guerriere Tapuias alle Amazzoni anche perché entrambe non nascondevano le grazie femminili, e le loro sinuose rotondità ricordavano le molte curve del fiume…
Leggende e ipotesi a parte, nella realtà ora siamo noi a spogliare e mutilare l’Amazzonia della sua fecondità rigeneratrice di ossigeno e biodiversità, e non per tirare meglio con l’arco, ma per guadagnare in fretta e di più, in modo vampiresco, invece di conservarla come migliore parco protetto sulla terra. Le sue deforestazioni molto difficilmente saranno compensate dalle pur lodevoli iniziative delle città, che piantano alberelli stecchiti, ai quali sono necessari molti anni prima di diventare abbastanza grandi. Non ci soffermiamo a domandarci quante foglie hanno gli alberi, a quantificare il contributo di ossigeno di ciascuna e la diversità globale di produzione fra un albero secolare e degli alberelli. Siamo pieni di inquinamento e polveri sottili che aumentano le malattie polmonari, specie dei nostri bambini, e nonostante sia noto che esistono anche alberi speciali, mangia smog, piuttosto di piantarli dappertutto lasciamo che si cementifichi e deforesti.
A proposito di foreste, in un documentario italiano si vedevano cataste di legno di rovere pregiato destinate a diventare botti per il vino. Alla domanda da dove venisse il legno, l’intervistato aveva risposto che veniva dalla Francia, perché in Italia le foreste di querce erano state disboscate da tempo per fare posto all’agricoltura… in vino veritas!
Nell’immaginario collettivo, l’Amazzonia rappresenta un mondo misterioso, foreste senza fine, aree ancora inesplorate, tribù che vivono in simbiosi con una natura ancora vergine, nel senso più pieno del termine. Secondo gli etnologi questi indigeni vivono con socialità più democratiche e progredite della società moderna.
La foresta amazzonica è un territorio carico di energia verde, di rare piante medicinali, di animali e tribù che vedono minacciato il loro habitat dagli interventi dell’uomo — il peggiore e più stupido predatore della natura e di sé stesso. Diverse teorie sostengono che la giungla amazzonica non sia solo il frutto della natura incontaminata, ma anche degli interventi di piantumazione e coltivazione che le antiche tribù indigene hanno fatto per secoli. Per loro l’Amazzonia non è solo il polmone, ma il cuore della Madre Terra che li protegge, e il loro compito è di curarla e proteggerla a loro volta.”

Dalla foresta amazzonica all’Amazzonia dei corpo-pensieri

“Riflettendo quindi sull’Amazzonia, sulla varietà del suo esistere, mi è parso giusto paragonarla alla giungla dei corpo-pensieri umani, dove altrettanto si alternano, dalla notte dei tempi, radure di intuizioni solari e oscurità impenetrabili di fantasmi apocalittici — come nel film Apocalypto di Mel Gibson, in cui i protagonisti si trovano ad affrontare la barbarie di altri indigeni e lo sbarco dei conquistadores.
Anche nella nostra psiche si combatte per preservare l’ossigeno, contrastare l’asfissia della mente dagli inquinamenti, dall’autodistruzione delle nostre nevrosi e fanatismi psicotici, per conservare l’energia del cuore.
La pazzia, la guerra e tanti altri vizi umani — che possono dilagare dallo scoperchiamento di quanto c’è di peggio nel vaso di Pandora — non sembrano così diversi da quanto succede in Amazzonia, fra l’aggressività dell’insediamento umano e la forza della natura, che si riprende spazio e territorio, anche con drastici reset. Altrettanto succede fra le pulsioni umane primitive e quelle più progredite — fra guerra e pace, per dirla alla Tolstoj.
Se non si sta attenti, specie durante la siccità, piccoli focolai diventano incendi che divampano vanificando i tentativi di spegnimento. Da una parte ci sono i piromani patologici e quelli prezzolati, dall’altra ci sono i droni che possono avvistare in tempo i principi di incendio.
Nonostante i nuovi aiuti tecnologici, continuano ad aumentare cementificazione e deforestazione “urbis et orbis”.
Non solo «continuano a costruire case e non lasciano l’erba», come cantava Adriano Celentano, ma la società del profitto, assoggettata all’angoscia della solitudine e della morte, agisce con la cultura di regime e i media: affoga i pensieri nel cemento, disalbera foreste vitali di libertà, con un sottofondo lugubre di tamburi inascoltati e di nenie inneggianti a un catastrofismo funzionale al giogo dell’assuefazione.
Abbiamo selezionato vini meravigliosi in onore di Bacco, ma il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?”

Addentrarsi nell’Amazzonia dei corpo-pensieri

“È difficile inoltrarsi nella foresta amazzonica e attraversarla, bisogna farsi largo con i machete, senza sapere dove posare i piedi nell’intrico di radici, liane e acquitrini. È difficilissimo orientarsi, e anche quando si trova la direzione si può venire bloccati da impenetrabili muri di vegetazione. La giungla dei corpo-pensieri è un’altra dimensione, ma non meno difficile da attraversare. Anche se sono fatti di materia, i corpo-pensieri non li vediamo, e perciò dobbiamo imparare a percepirli un po’ come ciechi e sordi.
Per questo, a discapito di una lettura facile e scorrevole, correndo il rischio di renderla al contrario faticosa e farraginosa, ho ritenuto fondamentale lasciare che questo mio racconto — come la giungla — si strutturasse con intrecci e intrichi dei corpo-pensieri più vari.
Nel fitto della vegetazione, a tratti ci si imbatte in pertugi, in radici più fitte che non sai se crescono verso l’alto o verso il basso, si è distratti da odori penetranti, da insetti fastidiosi e velenosi. Ci si può perdere, girare intorno e, dopo ore, ritrovarsi allo stesso punto. Ma non è detto che si cammini invano. A ben guardare, anche in una corteccia fradicia o sotto un sasso c’è vita, e i sensi imparano ad allenarsi restringendo e allargando il campo continuamente.”

Foto di Rick Ortegon Escobar: https://www.pexels.com/it-it/foto/scimmie-sedute-su-un-uomo-nella-giungla-13796498/ modificata da psicosinfonie

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