Ci parliamo spesso, e non sempre con una sola voce. A volte siamo narratori della nostra vita, altre volte osservatori silenziosi, e altre ancora giudici severi o amici fidati. Le voci interiori ci accompagnano ogni giorno, modellano il nostro pensiero, ci confondono o ci guidano. In questo estratto dal libro Preconscius del dottor Guido Buffoli, esploriamo il modo in cui la mente si racconta, si interroga e si ascolta — spesso con un coro di personaggi diversi che abitano la nostra coscienza.
Prima, seconda e terza persona: chi sta parlando nella nostra testa?
“Quando pensava e cercava di mettere per iscritto le sue idee, gli capitava di ascoltarsi ora in prima, ora in seconda o in terza persona, come se a volte fosse un osservatore, o un narratore dei suoi pensieri, o uno che parla da solo…”
Questa alternanza di prospettive è parte integrante della nostra esperienza interiore. Scrivere o pensare significa spesso indossare maschere differenti: siamo noi, ma anche qualcuno che ci osserva, ci racconta, ci interroga.
Le voci sovrapposte: ascoltare le tracce
“…altre volte ancora aveva l’impressione di udire voci sovrapposte — non quelle allucinatorie, beninteso. Quindi ritenne utile provare a lasciarsi oscillare, e riportare queste alternanze e compresenze di personaggi interni come probabili testimoni dei suoi personali processi di ‘intersoggettivazione’.
Chi, per un momento, non ha desiderato avere l’orecchio e l’occhio degli scout indiani o la capacità di cogliere tracce come Sherlock Holmes?”
L’ascolto delle nostre voci interiori richiede presenza e apertura: non per cercare ordine immediato, ma per cogliere significati anche nelle sovrapposizioni. È una forma di attenzione radicale che può condurci alla comprensione profonda di noi stessi.
Il coro interiore: una lezione dal teatro greco
“Nel teatro dell’anima ci possono essere contemporaneamente spettatori e attori, critici, inservienti e persino vigili del fuoco, tutti variamente presenti e partecipanti. Poterli ascoltare contemporaneamente sarebbe realizzare lo spettacolo nello spettacolo.
Era sempre stato affascinato dal ruolo del coro nel teatro greco, che svelava al pubblico ciò che gli attori nascondevano o non sapevano. Quindi non gli parve strano che gli venisse da scrivere ora in prima persona, ora raccontandosi in terza. Anzi, cambiando soggetto, sperava di poter fare associazioni secondo linee più interpersonali collegate ai diversi sviluppi delle differenti parti della sua personalità.”
Il riferimento al teatro greco è una potente metafora: il nostro dialogo interno non è un monologo, ma un palcoscenico su cui si muovono voci con ruoli diversi. Alcune portano consapevolezza, altre ci proteggono, altre ancora ci mettono alla prova.
Conclusione: dall’ascolto alla comprensione
“Sapeva che siamo tutti poco consapevoli della piena attività della mente e credeva potesse essere utile cogliere i soliloqui o i dialoghi fra il suo sé, l’osservatore di se stesso e le voci della sua storia interna ed esterna.
Queste sovrapposizioni potevano confonderlo, ma riuscire ad ascoltarle senza perdersi gli pareva una sfida che valeva la pena accettare. In fin dei conti, è difficile capirsi se tutti parlano insieme, ma trattenendo degli echi anche nella confusione si impara a preservare frammenti di ascolto.”
Nel riconoscere le nostre voci interiori, impariamo ad ascoltarci davvero. A distinguere echi significativi, trovare senso e orientamento.
Foto di Odin Reyna: https://www.pexels.com/it-it/foto/console-di-mixaggio-equalizzatore-elettronica-amplificatore-6860689/ modificato da psicosinfonie

