L’essere umano ha sempre avuto bisogno di credere. In qualcosa, in qualcuno. A qualcosa, a qualcuno. E lo ha sempre fatto, in ogni epoca storica. Eppure, mai come oggi questo bisogno di credere è tanto necessario quanto difficile. Tanto abbiamo bisogno di credere, quanto facciamo fatica a credere.
Credere oggi non è più facile, accessibile a tutti. È diventato un gesto di coraggio, un “lusso”. Un moto interiore che richiede forza, consapevolezza e, paradossalmente, anche dubbio.
Il bisogno di credere non è solo un fatto intellettuale. È radicato in profondità, nel corpo, nella psiche, nel nostro modo di vivere i legami. Come scrive il dottor Guido Buffoli in Umanosfera. L’Amazzonia dei corpo-pensieri. Appunti di viaggio:
“Tutti abbiamo un bisogno, mai abbastanza riconosciuto, di avere fiducia e di trovare qualcuno che possa permettere al cuore di allargarsi e non farci dubitare di noi e degli altri.”
Credere permette al cuore di espandersi. È affidarsi. È avere coraggio quando tutto sembra ostile o fragile.
Si può sempre credere
Viviamo circondati da storie che ci parlano di fiducia, di atti di fede quotidiani. Il cinema, la letteratura, l’arte e lo sport, in modi diversi, ci ricordano cosa significa credere anche quando tutto intorno sembra crollare.
“I film, le canzoni, la musica, la poesia, l’arte, conoscono i bisogni affettivi — lo sanno bene quando ci commuovono, ci fanno piangere. E lo sa bene anche lo sport quando ci dice che il campione è quello che, al momento giusto, sa spremere ancora qualcosa in più dalle energie finite e vince perché crede di poterlo fare.”
Il valore delle emozioni collettive
Il dottor Buffoli cita due momenti emblematici: la tragedia di Alfredino Rampi e la vicenda dei minatori cileni. Due eventi mediatici che hanno catturato l’attenzione e l’empatia collettiva. Ma si chiede: perché non riusciamo a partecipare con la stessa intensità ad altre tragedie che affliggono il mondo?
“Ricordo la tragedia di Alfredino, caduto nel pozzo. Una vicenda trasmessa in diretta televisiva da cui i telespettatori non riuscivano a staccarsi fino alla fine tragica e crudele, in cui, come ultimo tentativo, uno speleologo minuto di statura si era calato più volte nel pozzo, ma, dopo aver toccato e afferrato le mani del bimbo, non era riuscito a tirarlo su.
È successo anche con i minatori cileni, sepolti per ottanta giorni, che alla fine però sono miracolosamente sopravvissuti.
Eppure, non si riesce a partecipare allo stesso modo per i quasi trecentomila bambini scomparsi nei lager, per i milioni che muoiono di fame e malattia, o per le atrocità della guerra.
A volte non si sopportano gli appelli in televisione che ti mostrano corpicini denutriti e coperti di malattie. L’annunciatore dice: «Non cambiare canale, dammi qualche minuto» e invece cambi perché non sai cosa credere e con chi prendertela, così come è successo per i morti della pandemia senza funerale.
Non è una scusante. ma queste reazioni dipendono anche dal fatto che se fai qualcosa per aiutare, difficilmente qualcuno ti fa vedere come va a finire.”
È difficile credere quando le immagini si moltiplicano e le tragedie sembrano infinite. Troppa sofferenza crea distacco, perché credere nel cambiamento significa anche credere nella possibilità dell’aiuto, della trasformazione.
La crisi della fiducia
Senza arrivare a pretendere la fede dei credenti, basterebbe una sana fiducia laica per riuscire a credere. Purtroppo, mai come oggi dilaga trasversalmente un senso di sfiducia verso tutto e tutti, soprattutto verso coloro di cui dovremmo fidarci. La sfiducia verso la politica, le istituzioni, il linguaggio stesso che dovrebbe unire e guidare, rende difficile credere a qualcosa o a qualcuno.
“Cosa pensi di poter credere quando i potenti buttano via miliardi in guerre e conquiste e i diversi politici usano linguaggi sempre più stereotipati, privi di rispetto e di ascoltabilità? Quando anche le massime cariche dello Stato usano parole che dovrebbero essere sacre, e invece risuonano solo come ritornelli che non toccano più né il cuore, né la speranza? […] Come si riaccende il motore della passione per la vita, per il coraggio? Dove si ritrova la pioggia per far spuntare i fiori nel deserto, che pure hanno vita breve? Che si fa quando il grigiore non si schiara, dimentico di chi è piombato nel buio?”
Come non spegnere il motore
Smettere di dubitare, di pensare, non è la soluzione per poter credere.
Anzi.
“Non aiuta smettere di ascoltare i propri pensieri, i propri dubbi, e neanche smettere di scrivere — si rischia, come un vecchio diesel dalle candelette sporche, di dare solo qualche colpo di tosse e non riavviarsi più.”
Credere non significa ignorare ciò che ci trattiene dal farlo. Al contrario, implica tenere acceso il dialogo interiore, accettare i dubbi, continuare a pensare.
Perché è proprio il pensiero — il dubbio attivo — a impedire che il motore si fermi per sempre.

