Birillo in legno con volto sorridente tra altri birilli sfocati: simbolo del potere di accontentarsi, trovando serenità in sé stessi.

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By Psicosinfonie

Accontentarsi oggi: atto di rinuncia o di libertà?

Viviamo in un’epoca in cui desiderare è un dovere. Desiderare continuamente, sempre di più e sempre qualcosa di diverso. In questo contesto, accontentarsi suona come un fallimento, un’anticamera della rassegnazione. Ma è davvero così?

Nel suo libro Edipo e dopo?, il dottor Guido Buffoli ci invita a rileggere il verbo “accontentarsi” nel suo vero significato:

«“Accontentarsi” sa di brutto e triste, ma il vero senso del verbo — che viene dal latino “contentus” anticipato dalla “a” rafforzativa — significa rendersi contenti, andare verso l’essere contenti, quindi la capacità di saper stare bene con ciò che siamo e che possiamo avere.»

Riscoprire l’etimologia sovverte la percezione comune. Accontentarsi non è restare a mani vuote, ma riconoscere il valore di ciò che si ha. È un moto attivo, non passivo: un movimento verso il benessere interiore.

Accontentarsi e identità: tra aspettative e realtà

In psicoanalisi, il concetto di desiderio è centrale. Ma il desiderio non è illimitato. Come insegna Lacan, si costruisce sempre in relazione all’Altro, alle mancanze, ai vuoti. Accontentarsi, in questo senso, è un’azione che implica consapevolezza del limite e accettazione della realtà, due capacità che spesso confondiamo con debolezza.

Nella cultura del “tutto e subito”, accettare ciò che si è e ciò che si ha viene visto come una forma di resa. In realtà richiede forza, lucidità, consapevolezza, una profonda conoscenza di se stessi. È un’operazione profonda sull’identità, che chiede di separare i bisogni reali dalle illusioni imposte dall’esterno.

Il peso sociale dell’incontentabilità

Accontentarsi è diventato impopolare perché stride con l’ideale del soggetto “performante”. Quello che cambia lavoro ogni due anni, che ha obiettivi sempre più ambiziosi, che invecchia ringiovanendo, che aggiorna continuamente la propria immagine sui social per dimostrare crescita, evoluzione, successo.

In un sistema così strutturato, chi si accontenta sembra un perdente. Ma è proprio questo sistema a produrre masse inquiete, perennemente insoddisfatte, dipendenti da un’idea di felicità che si sposta sempre un passo più in là. Una sorta di miraggio perpetuo.

È come se “accontentarsi” da un lato sottintendesse sempre “di poco”. E dall’altro impedisse di desiderare di più. In realtà non significa nulla di tutto questo. Essere contenti di quello che si ha e si è prescinde da quanto si è e si ha, tanto o poco, e di certo non ci impedisce di essere contenti avendo o diventando di più.

Accontentarsi come cura

Da un punto di vista clinico, molte nevrosi contemporanee sono legate alla perdita della capacità di accontentarsi. Non si riesce più a tollerare il vuoto, il non-perfetto, il limite. Questo genera ansia, burnout, depressione.

Riscoprire il significato autentico di “a – contentus” può essere terapeutico: andare verso la contentezza, e non verso la mediocrità. È una riabilitazione della capacità di essere contenti, del presente, del quotidiano.

In terapia, il lavoro sul desiderio non è quello di eliminarlo, ma di ricondurlo a una forma sostenibile, umana, abitabile. Accontentarsi, allora, diventa un traguardo: il segno di un equilibrio interno che non ha bisogno dell’iperbole per sentirsi vivo.

Accontentarsi non nega l’ambizione

Accontentarsi non significa rinunciare agli obiettivi o smettere di migliorarsi. Significa evitare di identificarsi con un desiderio perpetuo che non ha mai fine. Vuol dire smettere di vivere secondo uno standard che non è il nostro, e iniziare a guardarsi dentro per capire cosa davvero ci fa stare bene. È la capacità di essere contenti.

Si può ambire e al tempo stesso essere grati. Si può desiderare senza essere schiavi del desiderio. Accontentarsi non è chiudere la porta al futuro, è imparare ad abitare il presente.

Conclusione

Il pensiero moderno ha bisogno di recuperare parole antiche e restituire loro la dignità originaria. “Accontentarsi” è una di queste.

Nel suo significato etimologico è custodita una preziosa cura, in questi tempi accelerati, ansiosi e “s-contenti”.
Accontentarsi è una forma di libertà.
Una scelta consapevole che ci permette di non essere prigionieri di una promessa di felicità sempre rinviata.
Un gesto intimo che ci riconnette con ciò che siamo davvero.

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