Uomo in silenzio seduto accanto a un cannone antico: metafora della guerra quotidiana combattuta con le parole.

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By Psicosinfonie

La guerra quotidiana che si combatte a parole

Abbiamo già affrontato la militarizzazione del linguaggio, delle parole e della voce, e di quanto sia necessario, per parlare di pace, smilitarizzarlo. Ma torniamo sull’argomento, per ovvi motivi. L’attualità. In un mondo sempre più in guerra, oggi ancora più in guerra di ieri, è necessario riflettere sulla guerra quotidiana che anche noi semplici esseri umani, noi civili, combattiamo ogni giorno a parole.

All’ennesima dichiarazione di guerra dei giorni scorsi, il dottor Guido Buffoli ha risposto con un’ode alla pace, ispirata alla canzone Auschwitz. Una poesia che invoca quello spirito di pace che tutti noi possiamo scegliere ogni giorno, se non per fermare direttamente i conflitti mondiali, per porre fine a quella guerra quotidiana fatta di semplici, ma non innocue, parole, che li alimentano molto più di quanto pensiamo.

Le conseguenze belliche del linguaggio

Ancora non solo tuona il cannone
esplodono ben di più
i tuoni della voce
a trasformare la fissione nucleare
in esplosive reazioni a catena
più potenti di ogni bomba.

La guerra quotidiana che combattiamo a raffiche di parole ed esplosioni di toni di voce può sembrare più innocua di un conflitto bellico combattuto con armi e strategie militari. Ma non lo è. O non quanto crediamo. Le parole armate non possono togliere la vita a un essere umano come può fare un proiettile, ma possono ferirlo emotivamente, psicologicamente, sentimentalmente e, in casi estremi non così infrequenti, portarlo a togliersi lui stesso la vita. Ma soprattutto alimentano quel senso di armamento che s’infiltra ovunque, rendendo il nostro mondo un campo di battaglia. Usare un linguaggio militarizzato ci militarizza. La violenza delle parole genera altra violenza. La aumenta verticalmente, contro chi ci ha attaccato, per sovrastarlo. Ma la può dirigere anche orizzontalmente, contro qualcun altro che non c’entra nulla, per scaricare la violenza subita a cui non abbiamo saputo reagire al momento.

E così, quel piccolo scontro verbale che potrebbe passare inosservato, in realtà, fomenta la violenza e l’aggressività in tutte le direzioni. Si diffonde e si intensifica.

La miccia più pericolosa

La guerra verbale diventa ancora più pericolosa e distruttiva quando le parole e i toni di voce si armano con una lucida e chiara premeditazione. Con intento strategico.
Quando, prima ancora di essere verbalizzata, la guerra nasce nei nostri pensieri.

Tuoni di pensieri
allontanano, dividono, feriscono
possono essere quasi silenziosi
insinuanti, pronti ad assordare
come un colpo di mortaio.
Possono essere a raffica, penetranti
brucianti come il napalm,
intelligentemente idioti, difensivamente presuntuosi.

Carnefici e vittime

In questa guerra quotidiana combattuta con parole armate e toni di voce esplosivi, i carnefici e le vittime si confondono e si alternano. Carnefici che risorgono dalle ceneri delle vittime e viceversa. Portatori d’armi senza licenza, tutti abbattiamo e cadiamo. O rischiamo di farlo.

Nemici impanicati della pace, soldati congedati senza vita.
Bambini spaventati e sbatacchiati senza sosta
fra pseudo-adulti, di coppie, di nazionalità di razze, religioni, ideologie diverse
fra pomposi tiranni incapaci di litigi rispettosi.

Istinto di pace

Non sono bastati i tanti esempi della storia per farci capire che proclamarci a favore della pace, con parole militarizzate, non porterà mai davvero la pace. Quella pace profonda e radicata nell’istinto del vero essere umano.

Dopo la morte di Francesco, il cantore di Dio e di altro Francesco,
il pensiero si ferma ad ascoltare l’istinto…
beati i portatori di pace… freedom…
L’atmosfera umana chiama a mille minuti di silenzio…
Chiama a raccolta
oltre gli Stati, le inutili leggi, e carte dei diritti dell’uomo,
ogni persona perché aiuti a redigere, attraverso proroghe illimitate provvisorie,
un nuovo codice cavalleresco della pace.

Un nuovo codice cavalleresco

Per smilitarizzare i pensieri, le parole e la voce che armano la nostra guerra quotidiana, così legale e così letale, ci vuole un nuovo codice cavalleresco fatto di eros e cura, che ascolta il vero istinto umano, che sceglie e ricerca la pace.

Siano le armi la costante smilitarizzazione dei pensieri,
imparino i cavalieri a gareggiare nei tornei, a litigare con eros senza sangue,
a cavalcare non contro ma verso i cavalieri dell’Apocalisse
per prendersi cura delle loro grida, delle illusioni delle loro ferite.
Si riempia in ognuno di noi, di senso, di toni, di scelte, di continua ricerca la parola pace, di canti, di pensieri
perché è stanca di sangue la belva umana e di essere considerata peggio di ogni animale.

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