Nel nostro ultimo articolo abbiamo parlato del bisogno di essere visti, di apparire, per esistere. Del bisogno che ogni nostro minimo gesto, per esistere, venga condiviso, visto, riconosciuto. Pubblicato, commentato, approvato.
Oggi vogliamo parlare dell’altra faccia della medaglia. Del fatto che, più ci esponiamo, più cresce in molti un pensiero opposto, silenzioso, quasi clandestino: il desiderio di scomparire.
Il desiderio di scomparire, non di morire
Scomparire non significa morire o fuggire, ma ritrovare la libertà di esistere senza essere costantemente osservati.
È come voler respirare dopo troppo tempo in apnea, liberarsi dagli sguardi, dai riflessi e dalle aspettative.
È il bisogno di sentirsi vivi anche quando nessuno ci guarda, di tornare a una presenza che non ha bisogno di conferme.
In questo senso, scomparire è una forma di cura.
Un modo per rientrare in sé, per restare, per ascoltarsi.
Perché l’iper-esposizione consuma: ci mette sotto una luce continua che, alla lunga, acceca.
Essere e apparire: un equilibrio difficile
Viviamo in una società in cui l’apparenza è diventata sostanza.
Siamo ciò che mostriamo, e ciò che non si vede sembra non esistere.
Ma cosa succede se, per un momento, smettiamo di mostrarci?
Forse proprio quello che più temiamo: che non siamo più visti dagli altri.
Ma se quel momento lo protraiamo un po’, scopriamo che continuiamo a esistere anche se nessuno ci guarda. Che quello che stiamo vivendo lo stiamo vivendo davvero, anche se non lo raccontiamo. E che l’esistenza non ha bisogno di testimoni.
Il fascino del non esserci
Il desiderio di scomparire può essere anche un gesto per affermare la nostra identità, una rivendicazione del nostro spazio interiore.
Come se togliersi dalla scena fosse l’unico modo per tornare a se stessi.
Non per negarsi, ma per rivedersi con occhi nuovi, non filtrati da schermi o aspettative.
È come desiderare una pausa dal rumore delle immagini, una tregua dalla necessità di definirsi.
Perché ogni volta che ci mostriamo, dobbiamo scegliere come farlo, e in quella scelta lasciamo fuori qualcosa.
Ciò che non mostriamo diventa invisibile anche a noi.
In un’epoca di connessioni forzate, concedersi di scollegarsi è un atto liberatorio.
Non per assenza, ma per presenza piena.
Per riscoprire un sé che non vive solo nel riflesso degli altri.
La conclusione del dottor Buffoli
Abbiamo chiesto al dottor Guido Buffoli cosa ci racconta, dal punto di vista psicoanalitico, il desiderio di scomparire per un po’, senza lasciare tracce.
La sua risposta:
“Ci racconta il desiderio che qualcuno scopra le tracce che non abbiamo lasciato.
E, nell’immaginario, che sia possibile la realizzazione non nevrotica contemporanea di essere e non essere.”

