Uomo con cuffie e adesivi sul viso che ascolta con attenzione, simbolo dell’identità sonora personale.

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By Guido Buffoli

Alla ricerca della nostra identità sonora

Il bisogno di un silenzio ideale

Il silenzio – che in senso assoluto non appartiene al nostro mondo terrestre – è strettamente legato alla nostra identità sonora. Possiamo rappresentarlo come un bisogno umano idealizzato: uno spazio-tempo irreale, pensato per tenere a bada l’ansia che deriva dalla fragilità dei confini. Limiti che servono a contenere il caos di suoni, immagini, sensazioni e corpo-pensieri che caratterizzano la complessità del vivere.

Il desiderio magico è che, negando i rumorosi confini, non ci siano invasioni, ma una quieta sospensione. Un luogo in cui non si percepisca nemmeno il respiro o il battito del cuore: una illimitata proroga provvisoria che permetta di resettare tutto, lasciando scivolare fra le dita, fra le orecchie, fra gli occhi, manciate di granelli di corpo-pensieri, tutti uguali e tutti diversi. Un flusso continuo che scorre come in una clessidra senza fondo, o che risuona come echi senza valli e montagne.

Quando le parole non bastano

Il silenzio diventa rifugio agognato quando le parole non sanno più aggregarsi in melodia, ritmo o persino in rumore. Eppure, dentro e intorno a noi, tutto vibra e pulsa: pensieri rumorosi che si alternano come pioggerelle, cascate, temporali, nubifragi. Gocce di rugiada e di sudore che rigano la pelle, respiri, gemiti, grida, risate.

Anche quando cerchiamo di silenziarli con il frastuono metallico di parole vuote, il rumore interiore non scompare. Senza il sogno di un ideale silenzio, come sarebbe possibile ascoltare e ascoltarsi senza rimanere frastornati?

L’illusione e il rischio del vuoto

Spesso rischiamo di diventare semplici ripetitori di suoni, illudendoci di trovare rifugio nella sordità, per scansare lo stridio lacerante della follia a tutto volume. Talvolta, come in un atto di sfida, potremmo presuntuosamente chiedere al dio del tuono di farci scoppiare i timpani con la potenza della sua voce.

Ma il silenzio non è solo assenza: lo si può imparare ad ascoltare e persino suonare, se – come nella musica – esercitiamo un orecchio quasi assoluto, capace di accogliere ogni genere di rumori e suoni che, fondendosi da millenni, trascendono la musica del cuore.

L’identità sonora: un percorso che nasce con noi

Al di là di poetiche fantasie e idealizzazioni, non possiamo ridurre la nostra complessità al silenzio, e rinunciare a diventare melomani delle sinfonie dell’anima, capaci di inoltrarci nell’Amazzonia delle emozioni e dei sentimenti. Per quanto burrascosi, secondo le più diverse scale tonali, vale la pena raggiungere la coordinazione di ascolti contemporanei dando eros, dignità e scoperta alle mille voci che si spargono nel mare del silenzio.

L’identità sonora comincia già prima della nascita. L’utero materno, luogo che idealmente immaginiamo silenzioso, è in realtà gremito di suoni: battiti, vibrazioni, fluidi, ritmi. Con la nascita, quel continuum si interrompe e compaiono pause, intensità diverse, volumi che vanno dal pianissimo al fortissimo.

Il bozzolo sonoro originario si intesse di suoni-persona indistinta, con variazioni confuse e imprevedibili, facendoci aguzzare le orecchie e stendere i primi abbozzi di corpo-pensieri. Passiamo da una musica pienamente corporea e fusion, a una diversa e diversificata. Le ninne nanne e i carillon ci accompagnano nelle braccia di Morfeo, e i rumori della casa ci insegnano altri ritmi magari sincopati. I suoni dell’ambiente iniziano a suggerirci i segnali sonori della presenza e dell’assenza, a imprimere piccole memorie che ci permettono di tollerare il silenzio della scomparsa per poter riudire i passi della ricomparsa. Le voci della famiglia ci offrono l’abbecedario dei riconoscimenti e delle emozioni, mentre noi stessi iniziamo a riempire lo spazio vuoto della bocca non solo di latte, ma di suoni di richiamo, di ansia e di gioia.

Il silenzio come spazio dell’inesprimibile

Poi… poi l’umanità ha detto e scritto innumerevoli cose. Eppure, ancor di più sono rimaste quelle taciute: pensieri non formulati, parole non comprese, verità impossibili da dire. Nel silenzio resta un mondo inesplorato, difficile da riconoscere e decifrare.

Ci sfugge ciò che pensiamo da grandi, e ancora più da bambini. Poco sappiamo di ciò che pensano gli animali, le piante, la terra. Nulla, dell’ineffabile pensiero divino. Alcuni hanno immaginato che all’inizio fosse il caos, poi il suono, il verbo, la luce. Altri hanno messo l’inferno “là dove è buio e stridor di denti”.

Quindi, che dire?
“Silenzio! Ciak… si gira!”

Grazie alla scoperta della nostra identità sonora, possiamo confidare di riuscire meglio di Ulisse a non farci sommergere dal silenzio degli innocenti. A diventare umilmente meglio di Orfeo musici della grande filarmonica dell’umanosfera.

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