Billie Eilish in concerto al Pukkelpop Festival, 2019

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By Psicosinfonie

Billie Eilish ai Grammy 2025: la sconfitta fa male?

Ai Grammy Awards del 2 febbraio scorso, Billie Eilish, nonostante le moltissime nomination, è tornata a casa senza alcun premio. Nomination dopo nomination, nonostante continuasse a non aggiudicarsi la statuetta, l’artista appariva serena. Sembrava gioire della vittoria altrui, anche se questo implicava la propria sconfitta, senza dare alcun segno di delusione o tristezza. È stato solo alla fine, all’ultima nomination, che l’artista ha reagito diversamente. Le immagini delle telecamere che hanno ripreso la scena la ritraggono visibilmente commossa, e hanno fatto il giro del mondo. E, a prescindere dalle opinioni riguardo chi meritasse la vittoria, le lacrime di Billie Heilish hanno toccato un po’ tutti quelli che seguono la musica e i Grammy, sollevando interrogativi sulle dinamiche psicologiche e filosofiche legate al concetto di sconfitta.

La sconfitta come esperienza umana

La sconfitta è un’esperienza umana che prima o poi tutti facciamo. Che si tratti di perdere una competizione, non ottenere un riconoscimento desiderato o fallire un obiettivo personale, la sensazione di insuccesso ha sempre un impatto profondo su di noi. Il fatto che un’artista già pluripremiata come Billie Eilish si sia mostrata toccata dalla sconfitta, è la riprova che non importa quanti successi abbiamo raggiunto nel corso della nostra vita. La sconfitta ci tocca sempre. Non sappiamo se le lacrime di Billie Eilish fossero di disperazione, di frustrazione, di rabbia, o solo di stanchezza. Magari quella commozione che ci prende quando tutto finisce e finalmente la tensione si allenta. Ma di qualcosa erano.

Implicazioni psicologiche della sconfitta

Le implicazioni psicologiche della sconfitta sono molteplici, nella qualità e nell’intensità.
“Ciò che non mi uccide, mi rende più forte” dice Friedrich Nietzsche, sottolineando come le difficoltà e le sconfitte possano rafforzare il carattere e contribuire alla crescita personale.
Ben prima di lui, Confucio sostiene che la gloria non stia nel non cadere mai, ma nel rialzarsi ogni volta che si cade. Concetto riformulato in epoca moderna da Muhammad Ali: “Non conta quante volte vieni abbattuto, ma quante volte ti rialzi”.
Sempre rimanendo in ambito atletico, Michael Jordan non ritiene la sconfitta un’occasione per rialzarsi, ma addirittura la conditio sine qua non per la vittoria. “Ho fallito molte volte nella mia vita, ed è per questo che alla fine ho avuto successo.”

Accettare la sconfitta come sprone, senza abbattersi, o addirittura ritenerla un passaggio necessario e fondamentale per la vittoria, però, non è facile.
La sconfitta può danneggiare l’autostima, facendoci dubitare delle nostre capacità e precipitare in un vortice di pensieri avvilenti e improduttivi, che aggravano il senso di fallimento. Portandoci, a volte, addirittura a evitare di nuovo qualsiasi situazione implichi la possibilità di una sconfitta. Quindi qualsiasi possibilità anche di successo.
Dopo una serie di sconfitte — a volte ne basta anche solo una — ci si può addirittura convincere che non si vincerà mai. Questa convinzione, se intensa e radicata, può realmente aumentare la probabilità di ulteriori insuccessi. È il cosiddetto fenomeno della “profezia che si autoavvera”. Un vortice di autosabotaggio che solo lavorando seriamente su se stessi in modo mirato — sull’accettazione ma anche su una visione equilibrata e non emotiva delle proprie capacità — si può fermare.
C’è chi teme talmente la sconfitta da non mettersi mai in gioco. E per evitarla, pur non avendola mai subita, trova mille scuse, assolutamente convincenti, per tirarsi indietro da qualsiasi sfida la presupponga. Molto spesso proprio quelle che invece potrebbero determinare una svolta nella propria vita. La svolta che magari si desidera da una vita.
C’è chi reagisce offendendosi, reputando la sconfitta un’ingiustizia. E si corrode nel rancore nei confronti del vincitore, concentrandosi sulla scorrettezza dell’esito e sul furto della propria vittoria, invece che su se stesso.

Insomma, la reazione alla sconfitta varia da persona a persona. Dire che c’è un modo giusto e uno sbagliato di reagire la fa facile. Ognuno ha il proprio carattere e i propri trascorsi. Però ci si può lavorare, questo sì, per rendere utile questa esperienza.

Strategie di gestione della sconfitta

Al di là di quanto mortifichi o sproni la sconfitta, la sconfitta è comunque un’esperienza che un impatto su di noi ce l’ha. Affrontarla richiede un processo di accettazione e riflessione. Può venirci naturale sfruttarla per crescere e migliorare, ma molto spesso bisogna imparare a farlo. Da soli o con l’aiuto di un professionista, che ci guidi nell’intrico delle sensazioni che questa esperienza scatena in noi. Un buon punto di partenza, che vale per la sconfitta come per altre esperienze che rischiano di mortificarci e abbatterci, è evitare di colpevolizzare in modo eccessivo noi stessi, gli altri, o magari il sistema. Quando si perde, giustamente o ingiustamente, cercare alibi o colpe alimenta il senso di fallimento, e rallenta il processo di crescita e rinascita.

Accettare e riflettere, non subire passivamente e rimuginare ossessivamente.
Se a questo, poi, si aggiunge un pizzico di speranza, meglio ancora.
Perché la speranza è un propulsore eccezionale.
Quando poi diventa fede, una pozione magica!

Conclusione

La sconfitta, sebbene dolorosa, è parte integrante dell’esperienza umana. Eventi come la mancata vittoria di Billie Eilish ai Grammy Awards ci ricordano che anche le persone di successo affrontano insuccessi. La chiave sta nell’accettare queste esperienze, riflettere su di esse e utilizzarle come trampolino di lancio per una crescita personale e professionale. Magari con la speranza, meglio ancora la fede, di poter vincere la prossima volta.

Billie Eilish al Pukkelpop Festival – Foto di Raph_PH su Wikimedia Commons, licenza CC BY 2.0.

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