Lampadina nell’orecchio umano come metafora visiva dell’ascolto che genera comprensione e pace.

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By Guido Buffoli

Considerazioni su un possibile “Cantico della Pace”

Un inno moderno alla pace

Laudato sii, o mio Signore, per nostra sorella pace, che tanto ci abbisogna. Laudato sii, perché ci hai donato la permissione di sentire quanto essa sia cosa giusta e buona, anco di molto migliore della tentazione della guerra…

Con tutto il rispetto e senza alcuna intenzione irriverente nei confronti di Francesco, il cantore di Dio, ho voluto proporre una versione attualizzata del suo cantico.

Un mondo surreale

Nel periodo che stiamo vivendo, molte cose paiono surreali, costringendoci a convivere in un mondo in cui capi di nazioni predicano guerre sante, convincendo milioni di persone a seguirli, e politici sventolano le bandiere delle loro verità, gli uni contro gli altri, combattendosi con insulti, ingiurie, accuse, condanne.

Ci troviamo a convivere in un mondo di logiche di potere economico che fa sconfinare il giusto profitto in sfruttamento, trasformandoci in schiavi più o meno fortunati.

Un mondo in cui le guerre, intelligenti, non rispettano neanche le regole umanitarie elementari. In cui i fanatismi giustificano convintamente la distruzione dei nemici, e i codici d’onore della mala vita consentono di alternarsi tra vittime e carnefici a seconda di chi momentaneamente si trova sopra o sotto la panca.

Isolarsi o partecipare, senza cambiare nulla

Per la resilienza e l’indifferenza ci si isola nella propria bolla personale. Ma anche perché non si sa cosa sia credibile, visto che anche l’informazione si combatte fra attendibilità e seduzione dell’odiens, con sbandieramenti di pomposi proclami delle autorità, continuamente contraddetti dagli avvenimenti.

Rivoluzione e contestazione? Troppe volte il diritto a manifestare, a contestare, si trasforma in incitamento alla violenza.

Possono sembrare argomenti superficiali, disfattisti e privi di distinguo rispetto alla complessità della vita e a coloro che cercano di fare del loro meglio, ma servono in questo caso da preambolo per domandarci dove stanno i confini delle cose.

Il mondo è malato: lo dicevano già i topi, le rane e… Mafalda

Stiamo trasformando da troppo tempo la terra in un mondo malato? Siamo ridotti a cantare dei gospel tristi e svuotati nelle cerimonie funebri? Continuiamo ad andare avanti perché non ci arrendiamo o perché chi si ferma è perduto?

Nella Batracomiomachia si leggeva già di una terra in subbuglio, per una guerra interminabile tra i topi e le rane. Una guerra assurda, ma con migliaia di morti, comandata da pochi “talponi” e la moltitudine che li acclamava.

Persino Mafalda, il personaggio di Quino, fra un gioco e l’altro, metteva panni freschi sul mappamondo dicendo che il mondo era malato e aveva la febbre.

Smilitarizzare la parola, la voce e il pensiero

Considerando la presenza delle guerre, con più di sessanta milioni di morti solo nella Seconda guerra mondiale, guerre che colpiscono soprattutto i più deboli, le invocazioni alla pace di papa Francesco, l’appello di un prete alla “smilitarizzazione della parola“, il riferimento di papa Leone XIV a “una pace disarmata e disarmante”, ho seriamente pensato che bisognerebbe prima della parola, smilitarizzare la voce.

Di fronte alla fragilità della pace, all’impotenza di organizzazioni come l’Onu e simili, che andrebbero certo riviste e migliorate, di fronte a questa malattia bellica del mondo abbiamo la possibilità di scegliere di non rimanere indifferenti e cogliere l’occasione per una sollevazione pacifica popolare mondiale, basata su un invito generale a riflettere su come nascano i conflitti.

Il linguaggio militarizzato: dentro e fuori di noi

A chiarire se oltre a tutte le considerazioni sociopolitiche si possa dire che esista una prevalente tendenza alla militarizzazione del pensiero e della comunicazione nel nostro vivere quotidiano.

Nelle comunicazioni intrapersonali e relazionali il linguaggio militarizzato è molto più presente di quello del rispetto dialogico, della mediazione, della diplomazia — si può dire che ne siamo immersi.

La musica del pensare e del parlare si basa troppo sul difendersi, attaccare, contrattaccare, opporre resistenza, imboscarsi, sottomettersi, diventare disertori, senza potersi avvalere del diritto di disobbedire se gli ordini sono criminali, sentirsi perseguitati e tant’altro.

Costruire la pace, ogni giorno

I conflitti allora diventano scontri e non occasioni di scoprire e far scoprire diversità. Cercare la pace disarmata e disarmante come può essere rappresentato, se su scala umanitaria le persone non sono consapevoli di quanto vivono quotidianamente secondo pulsioni dominate dallo scontro bellico?
Se non si accorgono neppure di quando le loro voci e le loro parole siano condizionate da scopi difensivi o espansionisti?

L’autoaffermazione narcisistica non prevede condivisione di ascolto e spazio con l’altro. La propaganda è sempre stata usata per sostenere lo stato militare. E se ognuno nel suo piccolo la utilizza pro domo sua, moltiplicato per gli abitanti della terra, dovremmo rivalutare cosa significa che ognuno si domandi come agisce per disarmare la pace e non solo la guerra.
E quali sono le armi dei pensieri e delle emozioni che mantengono il mondo così spesso sull’orlo dell’aggressività distruttiva.

Accendere l’ascolto

Si sente spesso parlare della necessità di partire dalla base… Sarebbe utile promuovere ogni sorta di iniziativa che invitasse il maggior numero delle persone della base ad ascoltarsi con attenzione, a riconoscere nella loro voce e nelle parole quanti cori di pace o trombe di guerra risuonano.
Parallelamente è necessario coinvolgere un ascolto attento in tutti coloro che si occupano di informazione e comunicazione, perché facciano la stessa distinzione.

Se facessimo un campionamento delle parole e dei toni che risuonano nelle nostre comunicazioni, in quelle sociali, politiche, scientifiche, della stampa e della legge, sarebbero in larga maggioranza quelle armate rispetto a quelle portatrici di pace.
Si potrebbero proporre delle giornate mondiali rivolte a cogliere queste differenze, tanto per cominciare. Cercare di capire cosa ci rappresenta essere poco o del tutto disarmati e di cosa ci possiamo dotare al posto delle armi.

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