Se dal concepimento passiamo alla vita intrauterina e allo sviluppo del feto per cercare di vedere quale sia l’importanza delle induzioni ambientali, dobbiamo certo abbandonare l’idea dell’utero come spazio amni-protettivo di assoluta quiete e riconoscere come l’omeostasi primaria in cui si ritrova il feto è in realtà scandita e formata da molti stimoli interni ed esterni al corpo della madre.
La complessità degli scambi metabolici, calorici, biochimici, ritmici e sonori fra il feto e la madre è importante per ipotizzare e comprendere l’evoluzione di segnali che via via, progressivamente, divengono protostimoli e protosensazioni. Questi a loro volta possono determinare influenze diverse sulla maturazione dei singoli apparati sensoriali e dar luogo al momento della nascita a neonati più o meno avanzati rispetto all’età cronologica e quindi diversi rispetto alle prime esperienze.
Lo studio più organizzato sulla prematurità aiuterebbe a capire meglio le difficoltà derivanti dal cambio ambientale troppo precoce e dalle precoci manipolazioni.
Ritengo che si possa parlare in questo senso di “psichismo fetale”, intendendo cioè riferirsi alle protoreazioni rispetto ai protostimoli e alle protosensazioni che accompagnano il feto nel suo viaggio verso la nascita. Pur essendo suggestivo, non penso che si possa altrettanto ipotizzare un proto-tutto e quindi anche un proto-io, giacché per parlare di un “io” bisogna che si realizzino quei processi di separazione-individuazione che portano gradatamente il neonato a forme di consapevolezza di sé e del proprio confine.
Da tempo esistono interessanti studi sullo sviluppo embrionale e sulla vita intrauterina del feto. Indubbiamente le tecniche endoscopiche ed ecografiche, rendendo visibili e palpitanti i movimenti e i protocomportamenti fetali, hanno favorito migliori e meno statiche rappresentazioni di questa anticamera alla vita nella sua complessa dinamicità, ma hanno anche sollevato dubbi e stimolato ipotesi tendenti a iperprecocizzare il campo preesperienziale del feto.
Scoprire, ad esempio, che il feto nell’utero è in grado di portare il dito alla bocca e succhiarselo ha fatto riflettere sul significato esperienziale da attribuire a questa attività, sia nel campo precognitivo della suzione (ritmi, spazio bocca, durata, intensità, confini e autostimolazioni), sia nel campo preaffettivo, se si considera che il succhiamento del dito — spesso presente nei neonati, ma per diversi anni anche nei bambini — è stato comunemente interpretato come una manovra per allucinare la presenza della madre rispetto alle ansie sulla sua sparizione. Questo può valere anche per il feto che vive all’interno della madre? Se sì, possiamo immaginare che questo avvenga come difesa a una qualche variazione di segnali che rappresentano un pericolo, e quindi una protopaura? È sicuramente importante dare una dimensione reale e non fantasiosa a tutti i passaggi evolutivi del feto nella sua maturazione psico-sensoriale, nella sua predisposizione al divenire persona, altrimenti termini come psichismo, preesperienze, protocognizioni, vissuti fetali assumono pian piano valenze ipo o iper stimate.
Il linguaggio scientifico ha introdotto nuovi termini e nuovi mezzi per descrivere più puntualmente e più a fondo la serie di passaggi intermedi che insieme compongono il fenomeno, cioè quei molteplici e microscopici mutamenti che trasformano una nebulosa in un’entità sempre più strutturata e funzionalmente differenziata.
Nell’era dei linguaggi multimediali purtroppo i tentativi di una maggiore definizione del quadro dello sviluppo infantile e dei problemi che lo possono alterare sono ancora, secondo me, difensivamente troppo scoordinati ed elementari.
Suono, ritmo, pulsazioni, calore, variazioni biochimiche, ossigenazioni, movimenti, che influenze hanno sul continuo processo di differenziazione e specializzazione cellulare a partire dalla morula in poi? È importante ovviamente poter avere dei punti di riferimento e riconoscere indicativamente le tappe principali sia dello sviluppo embrionale, sia dei processi maturativi del primo anno di vita per poter prevedere i danni che derivano da un incompleto o mancato superamento delle stesse.

