Divano in pelle nera con appeso sopra un quadro con punto interrogativo: le domande più intime a uno psicoanalista, il dottor Buffoli.

Domande da divano: conversazione semiseria con il dottor Buffoli

C’è un oggetto che attraversa silenziosamente le nostre inquietudini, accoglie le nostre crisi esistenziali e ascolta più di molti amici: il divano. Non a caso, è anche l’oggetto-simbolo degli psicoanalisti. Abbiamo approfittato di questo simbolico e comodo pretesto per porre al dottor Guido Buffoli, come psicoanalista e come uomo, una serie di domande giocose, ma ad alto rischio freudiano.
Lo scopo? Farci un’idea di chi sia Guido Buffoli quando non è lui ad ascoltare, ma a rispondere.

Che rapporto ha con il divano del suo studio? È solo un divano, o è il suo divano?

Il divano è un oggetto vivo. In terapia la persona può scegliere se mettersi seduta di fronte, su una poltrona abbastanza comoda, oppure sdraiarsi e decidere di non vedere il terapeuta. Non c’è una regola fissa. Certo, se la terapia prevede di servirsi prevalentemente delle libere associazioni, è più utile affidarsi al divano e all’ascolto della voce.

Nel mio percorso di paziente e allievo sono stato su più di un divano. E, a prescindere che fossero comodi o meno, mi hanno fatto scoprire come mettermi in contatto con i pensieri sfuggenti prima che si spegnessero. Mi auguro che anche il divano del mio studio, oltre ad accogliere le rigidità e le resistenze di chi ci si sdraia, sia da loro ricordato come il bozzolo in cui hanno imparato a fidarsi e conoscersi.

Freud faceva assistere il suo cane, Hofi, alle sedute. Lo fa anche lei con il suo Jack Russell?

No, gli voglio bene. [sorride]
Non ho raggiunto con lui le frequenze dei corpo-pensieri, per condividere le sensazioni triangolari.
Quando stiamo insieme vuole tutta la mia attenzione, e se non è così abbaia.

Se potesse scegliere una nevrosi come animale domestico, quale sarebbe?

Un disturbo ossessivo compulsivo, con declinazione maniacale per l’ordine e la pulizia.
Avrei una casa splendente, ordinata e linda, senza sforzo.

Sul divano di quale psicoanalista della storia si stenderebbe per farsi psicoanalizzare?

Su quelli di Winnicott e della Tustin.

L’inconscio è un ottimo scrittore. Ma chi gli fa da editor?

L’anarchia editoriale.

Dal divano alla sedia a sdraio… cosa pensa quando vede qualcuno leggere Jung in spiaggia?

Dipende dal titolo del libro, da quanta natura e da quanti corpi ci sono.

Quando è in coda alla cassa del supermercato, guarda dentro ai carrelli degli altri?

Penso di sì, anche se non consapevolmente. La mente e i sensi di tutti, comunque, osservano, sentono e radarizzano più che possono.

Nella vita privata, riesce a non psicoanalizzare le persone che frequenta o incontra?

Detto così mi stona, se fa pensare a un ladro e a un insinuatore abusivo dei pensieri degli altri. Incontrare gli altri nei vari ambiti della vita o farlo nello spazio terapeutico certo fa differenza, ma tendenzialmente, nel comunicare e relazionarmi con gli altri, il mio pensiero non funziona in modo diverso. In realtà, tutti, anche senza saperlo, si fanno continue domande e si danno risposte. Utilizzare quello che la psicoanalisi ha scoperto e ti ha fatto capire consente un modo spontaneo, più aperto e libero di pensare. Perciò, se posso, lo uso allo stesso modo con me e con gli altri.

Tornando al “divano”… le è mai capitato di riconoscersi in un paziente?

Ci sono sempre frammenti che accomunano le persone… niente di nuovo sotto il sole… eppure ognuno ha una sua storia, fatta di tante peculiarità. Ci si riconosce quando si avverte una commozione comune perché, oltre l’empatia nello scorrere della relazione fra paziente e terapeuta, si sente che i corpo-pensieri si sono presi per mano per avvicinarsi a rivivere i traumi nascosti.

Se potesse scegliere di curare un solo paziente, quale disturbo o patologia sceglierebbe?

Borderline o autismo.

C’è un personaggio Disney che psicoanalizzerebbe?

Pippo.

Vede la psicoanalisi solo come cura, o anche come cultura?

Qualsiasi cura prevede una cultura scientifica. La scienza che si occupa di neuropsichiatria e psicologia della persona si collega a molti ambiti culturali come la sociologia, la filosofia, l’antropologia, la storia, la letteratura, l’arte… Insomma, tutto ciò che si è occupato della conoscenza dell’essere umano come insieme di anima e corpo. La psicoanalisi ha messo al centro la cura della persona con la sua storia emotiva e i suoi vissuti, piuttosto che limitarsi a vedere la malattia e i sintomi.

Se potesse mettere il suo divano in uno studio ideale in un luogo ideale — in totale libertà, senza limiti di spazi o geometrie, e in qualsiasi parte del mondo — dove sarebbe?

In due luoghi.
Su un nevaio, in un ghiacciaio.
E nella foresta amazzonica.

Ha mai avuto una fobia?

Da piccolo, delle volpi.

Accetterebbe un paziente perfettamente sano e con un’ottima capacità di comprendere sé stesso, solo per accompagnarlo in un percorso di “curiosità”?

Pazienti perfettamente sani non esistono. E la parola curiosità non mi pare sia sufficiente per garantire un buon percorso di approfondimento.

Cosa non può mai mancare nel tuo studio, a parte il divano?

La presenza viva dei miei corpo-pensieri che, pervasi in tutta la stanza e nei suoi oggetti, mi rendono più capace di essere presente e ricordare quelli degli altri.

Veniamo ora alle sue passioni, non da divano…
Cosa le piace e cosa la inquieta, dei cavalli?

Dei cavalli mi piace tutto, soprattutto il fatto che, se vuoi essere qualcuno per loro, quando gli stai sopra devi farti leggero, leggero. Mi inquieta quando, per paura, perdono l’istinto di conservazione. E il detto delle persone “matto come un cavallo”.

Le capita mai di psicoanalizzare il suo cavallo?

No, anzi, ho fatto un disegno in cui ero sdraiato sulla groppa del mio cavallo ed era lui che psicoanalizzava me.

Lei è anche musicista. Passione pura, o terapeutica?

Si fondono insieme e si alternano nel prevalere.

Il suo strumento preferito è quello che suona?

Ho amato moltissimo il pianoforte e il violino, e tutt’ora li tocco con affetto. Ora suono la batteria e i sassofoni, per lo più, ma mi piace scoprire i suoni di altri strumenti, soprattutto di altre etnie musicali.

Con quale musicista vorrebbe, o avrebbe voluto, suonare?

Con molti, trascurando i miei limiti. In passato avrei voluto poter suonare con Mozart, con Paganini, con Farinelli, con il batterista Gene Krupa. Attualmente, con Miles Davis, Petrucciani e, cambiando mondo, con i Pigmei e i Mongoli.

Che importanza ha suonare “bene”?

Dipende se suoni da solo o con qualcuno, o con molti.
Di certo ha importanza capire ogni volta quanto e come puoi imparare a suonare meglio, così scopri gamme di emozioni che non conoscevi o avevi solo intuito.

C’è un pezzo, una sinfonia o un’opera, che avrebbe voluto scrivere lei?

I Carmina Burana, il Dies Irae, il Papageno, Oblivion di Astor Piazzolla e La Montanara.

E infine, dalle domande da divano alle domande sulle domande…
Preferisce fare domande o rispondere?

Entrambe le cose.

C’è una domanda che i suoi pazienti le fanno e che non vorrebbe le facessero?

Ha mai avuto un caso più difficile del mio?

C’è una domanda, invece, che i suoi pazienti non le fanno e vorrebbe le facessero?

Posso sperare di scoprire insieme a lei l’amore per chi sono?

E più in generale, nella sua vita… una domanda che le fanno, e che non sopporta?

Posso parlarti senza che mi psicoanalizzi?

E una che non le fanno, ma vorrebbe le facessero?

Possiamo davvero provare ad ascoltarci perché uno aiuti l’altro a scoprire qualcosa in più del suo inconscio?

Infine, c’è una domanda, in questa intervista, che non avrebbe voluto le venisse fatta?

No, le domande che mi spaventano sono quelle che toccano paure ancora nascoste.

E una che invece avrebbe voluto le venisse fatta?

Quanto è disposto a lasciarsi invadere dagli approfondimenti?

Infine, prima che si alzi dal divano ed esca… c’è una domanda che avrebbe voluto fare lei, in questa intervista?

Quanto ti importa di conoscermi e fino a che punto?

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