Tutti diciamo di voler essere felici. Eppure, quando la felicità arriva — o anche solo quando si avvicina — spesso ci mette a disagio. Non sempre la riconosciamo. A volte la scambiamo per qualcos’altro, o ci affrettiamo a ridimensionarla, come se non ci spettasse davvero. Altre volte ci spaventa, e finiamo per sabotarci da soli, allontanandoci da ciò che desideravamo.
Ma perché accade questo? Perché essere felici — che dovrebbe essere uno stato naturale — ci appare così complicato, se non addirittura sospetto?
Troppo grande, troppo fake
Da un lato la felicità è diventata un’idea troppo grande. Un ideale caricato di attese eccessive, un miraggio sempre un passo più in là. E quando per qualche strana coincidenza la sentiamo vicina — nel corpo, nei pensieri, nei piccoli gesti quotidiani — ci chiediamo se non stiamo sbagliando qualcosa, se non stiamo fraintendendo. Come se la felicità non potesse arrivare così, semplicemente.
Dall’altro, la felicità è diventata anche una messa in scena globale, di cui siamo tutti attori protagonisti. Da Oscar.
Siamo diventati tutti bravissimi ad apparire felici. Perfettamente a nostro agio a sfoggiare sorrisi ad alta definizione e a creare scenografie idilliache. Ma a viverla davvero, la felicità, non siamo neanche lontanamente a livello pro. Anzi. Forse, proprio perché ci siamo abituati a una felicità apparente, costruita, esibita ma non reale, sentirci davvero felici ci mette quasi in crisi. Accettiamo la felicità fake, ma quella vera ci desta molti sospetti.
Un diritto o un premio?
Gli esseri umani si interrogano da sempre su cosa sia la felicità. Una conquista, uno stato dell’anima? Un diritto o una grazia? Un traguardo o una disposizione? Nel dubbio, molto spesso si finisce per rincorrerla come un premio, facendo di tutto per “meritarla”. Eppure, così facendo, molto spesso la felicità si allontana. Diventa una tensione, non un respiro. Un progetto, non una presenza.
Freud scriveva che l’essere umano non è fatto per la felicità, ma per la ricerca del piacere. Che la felicità duratura è impossibile, perché l’Io è costantemente attraversato da forze in conflitto. Ma forse proprio per questo, quei momenti di equilibrio inatteso — quando mente, corpo e mondo sembrano accordarsi in un unico suono — ci commuovono profondamente. Perché sono rari. E veri.
La felicità è spudorata
La felicità è anche nelle piccole cose, certo. Ma la felicità non è una cosa piccola. Anzi. La felicità espande, dilata, rompe gli argini delle misure abituali.
La felicità apre la mente, il cuore, l’anima e i sensi.
Zittisce le remore, le paure, le incertezze, i timori e le insicurezze.
In un certo senso, è spudorata.
Per questo, inconsciamente, potremmo persino sentirci in colpa nel viverla.
Per chi non ce l’ha, per chi soffre, per una voce antica che ci dice che non è giusto, che non ne abbiamo diritto.
Bisogna accettare la felicità nella sua natura, per essere felici.
E non è una cosa semplice.
Più semplice essere infelici?
Purtroppo, molto spesso è più facile essere infelici che felici. O almeno, più familiare.
L’infelicità ha una grammatica consolidata, la conosciamo, la riconosciamo. La felicità ha un linguaggio più selvaggio, più libero. E proprio per questo, più difficile da abitare.
Essere felici richiede una disponibilità alla vita che non è scontata. Bisogna accettare il rischio dell’apertura, il disarmo della vulnerabilità, la possibilità che tutto possa cambiare. E anche, paradossalmente, la certezza che nulla duri per sempre.
La conclusione del dottor Buffoli
Abbiamo chiesto al dottor Guido Buffoli perché la felicità, che tutti desideriamo, ci mette spesso a disagio o ci sembra persino sospetta.
La sua risposta:
“Forse perché percepiamo, ma non conosciamo, la deità umana. E piuttosto di viverla con l’umano eros, la confondiamo con l’immaginario del divino… Si ripropone il vecchio enigma: la felicità esiste, o è un’illusione? Ti viene data per diritto di esistenza, o va meritata?
Io credo che la felicità esista in quei momenti di pienezza sensoriale, di armonia con i corpo‑pensieri che ti aprono panorami di insieme anelati e improvvisamente pacificati. Allora dubbi, limiti e precarietà, anche se non scompaiono, diventano meno importanti della prorompente forza dell’esistere.”

