Lasciar andare è una delle esperienze più difficili che possiamo vivere. Non parliamo soltanto del lasciare andare qualcosa di prezioso o positivo, ma anche – e forse soprattutto – del lasciar andare ciò che ci fa male.
Sembra assurdo, eppure allontanarsi da una persona o da un rapporto che ci ferisce, che ci consuma, che ci priva di energie, è davvero complesso.
Sappiamo razionalmente che dovremmo farlo, eppure restiamo. Sappiamo che ci logora, ma non ci muoviamo.
Trattenere proprio ciò che dovremmo abbandonare è una contraddizione che attraversa tutti, prima o poi.
Il paradosso del dolore
La prima difficoltà del lasciar andare sta proprio in questo paradosso: riconoscere che qualcosa ci fa male e allo stesso tempo sentirci incapaci di recidere il legame. È come se la mente e il cuore parlassero lingue diverse. La mente dice: “stai soffrendo, devi smettere”. Il cuore risponde: “non posso, non voglio, non so vivere senza”.
Questo conflitto interiore può durare anni, trasformandosi in una prigione invisibile: non riusciamo a liberarci, e nel frattempo la sofferenza diventa una compagna abituale.
Le aspettative che ci legano
Uno dei motivi per cui è così difficile lasciar andare è che abbiamo investito in quella persona o in quel rapporto una quantità enorme di aspettative. Abbiamo immaginato un futuro, un senso, una promessa. Lasciar andare significherebbe abbandonare non solo la relazione, ma anche il sogno che l’accompagnava. E allora preferiamo restare, ancorati a quell’illusione che ci rassicura e ci tormenta allo stesso tempo.
Illusioni travestite da possibilità
Molto spesso continuiamo a raccontarci che qualcosa cambierà, che prima o poi quella persona ci darà ciò che cerchiamo, che le cose andranno meglio. Le illusioni sono tenaci: si travestono da reali possibilità. Ma sotto il velo resta la verità: ciò che speriamo non si realizzerà. Accettarlo sarebbe doloroso, ma continuare a crederci ci tiene intrappolati in una speranza sterile.
Dipendenze e falsi compagni
Lo vediamo chiaramente nelle dipendenze. Pensiamo al fumo: sappiamo bene che fa male, eppure la sigaretta diventa un compagno irrinunciabile. Non è solo nicotina: è il gesto, l’idea di rilassamento, il ruolo sociale, persino un certo atteggiamento che ci raccontiamo come parte di noi.
Il fumo non ci dà davvero tutto questo: siamo noi ad aver caricato la sigaretta di un potere che non possiede. È una proiezione, un’illusione condivisa. Eppure, proprio per questo diventa ancora più difficile lasciar andare: significherebbe smascherare il falso conforto a cui ci siamo aggrappati.
Perdersi per non perdere
C’è anche un altro motivo profondo: ci identifichiamo in ciò che dovremmo lasciar andare. Quella persona, quel legame, quel progetto sono diventati parte di noi. Se li perdiamo, sentiamo di perdere noi stessi. È un attaccamento che va oltre la logica: è come recidere un pezzo di identità. Per questo lasciar andare ci spaventa tanto: significa confrontarci con un vuoto che non sappiamo riempire.
Idealizzazione e autostima
Spesso idealizziamo ciò che teniamo stretto. Se riuscissimo a guardarlo per quello che è, dovremmo ammettere di aver sbagliato. Di aver creduto a qualcosa che non c’era. Di aver insistito, forse addirittura di aver voluto insistere, pur sapendo che non era la strada giusta. Ammettere questo ci metterebbe in crisi: significherebbe mettere in discussione la nostra capacità di discernimento, la nostra autostima.
Allora continuiamo a idealizzare, a raccontarci che non abbiamo sbagliato, che vale ancora la pena resistere. E intanto restiamo fermi, incapaci di liberarci.
L’attaccamento come difesa
Lasciar andare è difficile anche perché, paradossalmente, l’attaccamento diventa una difesa. Ci aggrappiamo a ciò che ci fa soffrire perché temiamo l’ignoto. Meglio il dolore che conosciamo che il vuoto che non sappiamo riempire. Ma è proprio in questo vuoto che può nascere qualcosa di nuovo: un incontro, una possibilità, una scoperta di sé.
Come diceva Eraclito: “Panta rei.” Tutto scorre. Nulla dura per sempre, tranne il cambiamento. Una frase che ci ricorda che trattenere è un’illusione, e che la vita, comunque, si muove.
La conclusione del dottor Buffoli
Abbiamo chiesto al dottor Guido Buffoli perché è così difficile lasciar andare qualcosa o qualcuno, anche quando sappiamo che ci fa soffrire.
La sua risposta:
“Come dice una profonda intuizione di Filumena Marturano: ‘’E figlie so’ piezz’ ‘e core’… e non vale solo per i figli.”

