C’è un solo giorno della settimana diverso da tutti gli altri: la domenica.
Certo, anche il sabato — facendo parte, con la domenica, del finesettimana — può considerarsi diverso dagli altri giorni. Ma mai quanto la domenica.
La domenica rimane a tutti gli effetti, per tutti, un giorno particolare.
Un giorno unico, separato da tutti gli altri, come se appartenesse a una categoria diversa di tempo.
A ciascuno la propria domenica
La domenica non è solo un giorno diverso dagli altri giorni, ma anche un giorno diverso per ognuno di noi.
Non esiste un solo modo di viverla, e neppure un solo modo di sentirla.
Per qualcuno è un profondo respiro che ossigena, per altri un vuoto insostenibile. C’è chi la aspetta come una benedizione, e chi come una maledizione.
Per questo, più di qualsiasi altro giorno della settimana, la domenica ci dice molto di noi stessi.
Un tempo “sospeso”
La domenica, nella percezione collettiva, è sospesa tra due poli: il sabato e il lunedì.
L’attesa della festa e la fine della festa.
“Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.”
Il sabato del villaggio, Giovanni Pascoli
L’ombra del lunedì si proietta già sul giorno di festa, e ne intacca la luce. Così, anche quando la domenica inizia con le migliori intenzioni, finiamo per popolarla con ansie anticipate, pensieri che ritornano «al travaglio usato», visioni di un futuro che annebbiano il presente.
Se il sabato è l’attesa gioiosa, e il lunedì l’impegno, la domenica resta un giorno sospeso. Un tempo fragile, che, più che essere vissuto, andrebbe custodito. E difeso — anche da noi stessi.
Contaminazioni temporali
La domenica è un giorno tutto per conto suo, ma che può subire delle contaminazioni. Come quella del lunedì successivo, che abbiamo appena descritto. Anticipando gli impegni del giorno dopo, le preoccupazioni e lo stress.
Ma anche del lunedì precedente, delle cui promesse non mantenute tiriamo le somme con un posticipato senso di colpa.
Ci sono domeniche che sanno un po’ di venerdì sera, o di mercoledì a pausa pranzo.
E poi ci sono domeniche a tutti gli effetti, domeniche che sono domeniche in tutto e per tutto, ma che non coincidono con il giorno ufficiale del calendario.
Ci sono domeniche che cadono di martedì pomeriggio o di giovedì mattina…
Forse la domenica, più che un giorno, è una disposizione d’animo.
Tempo rubato o tempo donato?
Dice molto, di una persona, l’utilizzo del proprio giorno libero.
Al di là delle specifiche attività, che possono essere riordinare, pulire, fare sport, leggere, dipingere, correre, dormire, scrollare sui social e chi più ne ha più ne metta, quello che fa la differenza è la divinità a cui si consacra questo giorno.
Al dio Dovere, o al dio Piacere?
Il settimo giorno della settimana è il giorno in cui adempiamo a tutti i doveri a cui non abbiamo avuto tempo di adempiere durante gli altri sei giorni, o in cui ci concediamo tutti i piaceri che non abbiamo avuto tempo di concederci?
La domenica sembra chiederci conto di tutto ciò che siamo stati — o non siamo stati — durante la settimana. Diventa, così, una sorta di specchio delle omissioni. E un invito. A guardare dentro. A riascoltare i corpo‑pensieri che, nella corsa dei giorni, abbiamo accantonato.
E decidere a quali dare voce.
Piacere o dovere?
Horror vacui o nostalgia dell’essere?
Molti avvertono, di domenica, una malinconia indefinibile. Una tristezza leggera ma insistente. L’assenza di rumori, di e-mail, di urgenze. Una pausa troppo grande perché non venga riempita. E allora si cucina, si spolvera, si riempie ogni interstizio.
Ma cosa succederebbe se lasciassimo vuoto quel vuoto?
Se smettessimo di temerlo?
Forse il malessere non è nella domenica, ma nel fatto che durante la settimana ci allontaniamo troppo da noi stessi. E quando finalmente ci ritroviamo, faccia a faccia, siamo incapaci di riconoscerci.
Un giorno sacro
Nelle culture antiche, la domenica è nata come giorno del sacro. Un tempo per il non-lavoro, il non-fare, l’ascolto, il rito, l’anima e lo spirito. Forse, anche se la religione è uscita dal centro della scena, quella traccia è rimasta. Siamo animali rituali, e la domenica è un’eco di qualcosa che abbiamo perduto. La celebrazione del tempo come esperienza, dell’ascolto dell’anima, della spiritualità.
Byung-Chul Han definisce la domenica come “il tempo in cui è concesso tornare a essere senza doverci giustificare”, ma è davvero possibile?
Siamo ancora capaci di “essere” senza scopi? Senza utilità?
La domenica, a differenza degli altri giorni della settimana, non chiede risultati. Non ci valuta. Non ci mette in competizione. Non ci misura. È un tempo senza cronometro. Eppure, ci angoscia, perché non sappiamo più stare senza una cornice che ci definisca.
E allora forse la domanda corretta da porci non è cosa facciamo la domenica, ma cosa succede in noi quando non abbiamo nulla da fare.
In quella risposta — o nella sua assenza — si nasconde il mistero di questo giorno particolare.

