Poter scegliere è sinonimo di libertà. Ma a volte anche poter non scegliere lo è.
Viviamo in un’epoca che produce e ci offre sempre più possibilità: più opzioni, più percorsi, più alternative. Eppure, proprio questa abbondanza ci pone di fronte a un paradosso: la libertà di scegliere può trasformarsi in una prigione, mentre la libertà di non scegliere può apparire la forma più radicale di autonomia.
Quando scegliere diventa sofferenza
Scegliere è un atto che dovrebbe esprimere libertà: decidere tra più opzioni significa essere padroni del proprio destino. Ma l’aumento esponenziale delle possibilità ci espone anche a un nuovo tipo di fatica: la paralisi decisionale, il rimorso delle scelte fatte, la paura di sbagliare, l’indecisione cronica dovuta a differenze minimali. Troppe opzioni rischiano di diventare superflue, di fare poca differenza in realtà, ma non per questo richiedono meno energia, attenzione e confronti continui, che alla fine talvolta ci bloccano e basta. Causandoci un notevole stress. Per niente.
Non scegliere è una rinuncia?
A volte non scegliere può essere una forma di rinuncia, un modo per deresponsabilizzarsi, per delegare o mettere la testa sotto la sabbia. La conseguenza di troppa stanchezza, sovraccarico, stress. Una forma di evasione ed evitamento, per paura o pigrizia, che può impoverire la vita.
Ma altre volte può essere un atto intenzionale, per ritrovare chiarezza. Per risparmiare energie cerebrali, invece di impiegarle in continue analisi di dettagli insignificanti.
Non scegliere in questo caso non è rifiutare le responsabilità, ma sottrarre alla decisione una tirannia superflua. È concedersi il diritto di non trasformare ogni attimo in un bivio esistenziale.
La libertà di non scegliere è autentica, non è rassegnazione, se sostenuta da consapevolezza. Ma richiede disciplina e onestà verso se stessi.
Non scegliere come pratica personale
Prendere una pausa dalla necessità di decidere è anche un esercizio di cura personale. Limitare le opzioni volontariamente, soprattutto quando le opzioni non sono determinanti, può restituirci spazio mentale e maggiore responsabilità nelle poche scelte veramente importanti. In questo senso, il non scegliere diventa una strategia di libertà: selezionare meno per scegliere meglio.
Un modo per ridare al presente il suo valore, senza sprecarlo in valutazioni infinite.
Una proliferazione incontrollata di scelte è come una proliferazione incontrollata di erbacce in un giardino. Lo infesta.
Less is more
Nel 1855 il poeta inglese Robert Browning, in un suo componimento dedicato alla sobrietà dell’espressione artistica, affermò: “Less is more”. Affermazione che divenne un celebre motto, dopo che l’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, maestro del minimalismo e dell’essenzialità formale, la trasformò nel manifesto della sua architettura: linee pulite, spazi vuoti, materiali essenziali.
Nell’intento originario di Mies, “less is more” non significava privazione, ma pienezza attraverso la riduzione — liberare lo spazio da ciò che è superfluo per lasciare emergere l’essenza.
Forse vale lo stesso per le scelte: meno possibilità non significa meno libertà, ma una libertà più chiara, più abitabile, in cui l’attenzione può concentrarsi su ciò che conta davvero.
La conclusione del dottor Buffoli
Abbiamo chiesto al dottor Guido Buffoli se esiste una forma di libertà nel non scegliere.
La sua risposta:
“Anche non scegliere è una scelta.”

