Macchina da scrivere d’epoca su un tavolo in legno, simbolo del gesto della scrittura.

La scrittura

C’è una voce che tutti possediamo, ma non tutti ascoltiamo: è la voce con cui parliamo sulla pagina bianca. La scrittura è un atto tecnico, ma prima ancora uno slancio ispirato, un processo che dà forma e corpo ai pensieri.

Abbiamo chiesto al dottor Guido Buffoli di raccontarci il suo rapporto con la scrittura: come nasce, dove lo conduce, cosa accade dentro — e fuori — mentre scrive.
Cosa significa mettere in parole il proprio mondo interiore.

Quando ha iniziato a scrivere?

Direi in terza elementare… ma il fascino dei segni sulla carta e sui muri ai tempi dell’asilo?

C’è un momento preciso o un evento che l’ha avvicinata alla scrittura?

Giocavo a nascondino tra gli scaffali di un’antica libreria, quando ho visto un enorme leggio in mezzo alla sala, e sopra un grande libro aperto con miniature e caratteri gotici.

Cosa l’ha spinta a scrivere la prima volta?

Poter dipingere parole di colori e suoni.

Era un’esigenza interiore, una necessità emotiva o intellettuale?

Una scoperta.

Qual è, secondo lei, la differenza tra pensare e scrivere?

Scrivere è l’acchiappasogni dei pensieri.

In che modo la scrittura trasforma i pensieri?

Ne rende visibile la materia.

Che sensazioni prova mentre scrive?

Come l’equilibrista sul filo.

Cosa avverte quando poi rilegge ciò che ha scritto?
Si sorprende o si ritrova?

Tutte e due.

Ha un rituale o un luogo preferito per la scrittura?

Quando scrivevo a mano dovevo stare mezzo sdraiato, ora per forza al tavolo del computer.

C’è un tempo o un ambiente che la ispira maggiormente?

Come diceva Mary Poppins, quando soffia un certo vento.

Come stabilisce dove cominciare e dove concludere?

Là dove i pensieri non si concludono.

Scrive senza sapere dove arriverà oppure segue un progetto preciso?

Non un progetto, ma un insieme di intuizioni.

Dedica più tempo alla stesura o alla revisione?

Non l’ho mai misurato, in entrambe non è mai abbastanza.

Preferisce scrivere o riscrivere?

È sempre bello ricominciare.

Che rapporto c’è tra la scrittura e il suo lavoro?

La scrittura non gli rende abbastanza giustizia, se si tratta di scrivere del lavoro. Se si tratta di scrivere dell’esistere, per me scrittura e terapia non fanno differenza.

E per lei stesso, la scrittura è terapeutica?

Quando apre contatti con aree della mente dormienti, allora sì.

I pensieri che emergono durante la scrittura, ma alla fine non scrive, dove vanno?

Mi rimangono appiccicati o mi girano intorno aspettando con pazienza il loro turno.

Come sceglie la sua voce narrativa?

Devo svincolarmi dalle voci di doppiatori e trovare la mia.

Ha mai trovato resistenze o veri e propri blocchi durante la scrittura?

Veri e propri blocchi, no. Ma ho passato anni a limitarmi a scrivere per lo più testi scientifici. Da tempo, invece, ho scoperto una nuova modalità che altri hanno chiamato ibrida.

C’è un filo conduttore nei suoi libri?

Cercare di raccontare quello che ho capito e che secondo me si avvicina di più alla realtà.

Si ritrova sempre a tornare su certi argomenti?

L’Amazzonia dei pensieri, i corpo-pensieri, l’umanosfera, il sesto senso della voce… insomma, ciò che è servito a me e può servire agli altri, per dare un senso alla vita… cosa cui nessuno ha il diritto di sottrarsi.

La scrittura è una pratica solitaria o si nutre di incontri?

Nessun uomo è un’isola e si sta meglio nella compagnia millenaria di c’è e di chi ci ha preceduto.

Trova ispirazione conversando con gli altri?

Siamo figli delle stelle, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.

Ha modelli di scrittura che sente vicini?

Quelli che sanno di buono.

C’è un autore o un libro che l’hanno ispirata?

Collodi e i Fratelli Grimm, da piccolo.

Come fa emergere i “corpo-pensieri” nella scrittura?

Non li faccio emergere, sono loro che mi scorrono addosso.

Spesso, nei suoi libri, dichiara di scrivere seguendo le libere associazioni. Cosa intende?

Quelle esplosioni sinaptiche che ti rivitalizzano il cervello e risvegliano il corpo.

Perché ha scelto di seguire le libere associazioni, invece di un “ordine” narrativo?

Perché sono i migliori scout, le migliori guide per attraversare l’Amazzonia dei pensieri.

Le libere associazioni sono personali. Ed è già molto difficile riconoscere e seguire le proprie. Non pensa che diventi esponenzialmente difficoltoso, seguire quelle di qualcun altro? E non teme che, proprio per questa difficoltà, il lettore possa perdersi e abbandonare la lettura?

No. Essendo le libere associazioni energeticamente espressione dei corpo-pensieri, scatenano anche quelle degli altri. Sono contento se il lettore smette di leggere e comincia a leggersi… poi magari ricomincia con più contatto ed eros.

Infine, una provocazione…
Leggendo i suoi libri, proprio per i motivi appena citati, si potrebbe accusarla di essere più interessato ad ascoltare la propria voce risuonare sulla pagina, che a essere ascoltato e compreso dagli altri.
Vuole rispondere, o preferisce lasciare che sia il silenzio a farlo?

Risponderò a questo innocente trabocchetto dicendo che ho ascoltato le sue domande e mi sono fatto delle idee sul perché me le ha fatte, ma liberamente… non gliele dico…