All’interno del lessico umanosferico, questa espressione — libere associazioni – indica il metodo con cui è possibile, e più indicato, orientare il nostro viaggio nell’umanosfera.
Già la libertà è un concetto difficile da definire, la libertà di pensiero ancora di più.
Se poi parliamo di associazioni libere, la questione diventa decisamente complessa.
Chiarito che non si tratta di quel cliché per cui se uno ti dice “sedia”, “albero”, “macchia” o qualsiasi altra cosa, tu dovresti dire cosa ti viene in mente, si tratta di considerare quell’attività corpo-mentale che memorizza e collega quanto viene processato continuamente nel pensiero, in modi così multimediali e rapidi di cui non riusciamo a seguire le tracce, che rimangono in aree collaterali della memoria come dimenticate. Nella complessità di questa radarizzazione e raccolta dati continua, va considerato che possiamo allontanare e relegare al di là della nostra consapevolezza, pensieri ed emozioni che non ci piacciono, che ci spaventano e di cui ci vergogniamo profondamente, e che finiscono per assommarsi nelle profondità non solo della memoria, ma anche dell’inconscio. Proprio l’inconscio ha le funzioni vitali di aiutarci a tollerare le paure e le vergogne più profonde, ma anche di restituirci, nei sogni e negli agiti di cui non ci rendiamo conto, tracce di nascondimenti e frammenti di memorie lasciati in file poco conosciuti.
Le libere associazioni costituiscono una fitta rete di comunicazioni con questi processi.
Se le individuiamo, ci consentono vie di accesso all’inconscio permettendoci di alleggerire i suoi contenuti, rendendoli in parte consci e recuperare così l’energia che li teneva nascosti.
Le libere associazioni permettono inoltre di aprire diversi file di memorie di tante rapide osservazioni, inconsapevolmente stipate, e avere maggiore contatto con i sogni. I sogni possono essere bizzarri, inquietanti, persino incubi, ma sono anche l’unico modo di incontrare persone che sono scomparse, senza ricorrere a sedute spiritiche, e di rivivere la loro compagnia.
Imparare a riconoscere le libere associazioni non significa solo permettersi di pensare senza troppe censure, ma sospendersi in uno stato di equilibrio instabile, dove cogliere segni e tracce che possono apparire senza senso o poco importanti e seguirle per vie non convenzionali. Un po’ come guardare le nuvole senza pretendere di riconoscere immagini chiare, e vedere continue trasformazioni d’oggetto dal verismo all’astrattismo. Si tratta di esercizi non semplici, come imparare a sentire la presenza e il linguaggio dei corpo-pensieri che alterna cori a solisti.
La capacità di scoprire le libere associazioni si può approfondire a vari livelli, ma si incontrano molte resistenze nel farlo. Il premio, oltre ad allargare orizzonti e aprire file, e rendere meno sconosciuto l’inconscio, sta nel risvegliare capacità percettive sensoriali e raggiungere un rapporto di sintonia con la bussola istinto.
Non esiste un solo tipo di libere associazioni e quindi neanche una definizione univoca: si può partire dalla frase iconica: “Mi dica la prima cosa che le viene in mente”. Ma bisogna tenere conto che i pensieri possono presentarsi con rapidità tali e su canali quasi contemporanei, per cui risulta molto difficile stabilire quali sono i primi a giungere alla nostra coscienza. Si può imparare a distinguerli meglio, specie a cogliere quelli che ritardiamo o escludiamo per censura, ma non possiamo pretendere che la vera associazione libera sia quella che compare per prima alla nostra attenzione. Nella complessa organizzazione di censure e difese, per necessità di controllo vogliamo essere sicuri di sapere quello che stiamo dicendo e se non ci esprimiamo bene, se ci scappano parole o interiezioni che non sono sintoniche, insistiamo nel voler spiegare il senso del nostro pensiero. Spesso sono proprio queste espressioni che svalutiamo, a contenere delle tracce che portano alle libere associazioni. E questo non riguarda solo tracce verbali, anzi. Spesso sono proprio quelle non verbali, mimiche e sonore, le più utili.
Piccole pillole di esempi: sto pensando, o parlando, e contemporaneamente mi viene in mente una testa di elefante con drappi e zanne ornate… si tratta di un pensiero fuorviante rispetto a quanto sto dicendo, un nonsense, o un ricordo di un’immagine? Gli elefanti così fanno parte di scene in cui sono soggetti all’uomo, ma per sapere cosa c’entra con il discorso che credevo di fare, dovrei ricordare se si trattava di un pachiderma deputato a schiacciare la testa del condannato, o a trasportare sulla schiena un maraja, uno di quelli portati da Annibale che terrorizzavano i Romani, o di quelli che nei fumetti scappavano spaventati da un topolino… era simile a Dumbo o a uno di quelli che si ribellavano sfuggendo al controllo dell’uomo… aveva a che fare con la proverbiale memoria dell’elefante che non dimentica mai, o con la forza di un ragazzino che riesce a stargli sul collo? E la lista potrebbe continuare…
Altro esempio già più noto consiste nei lapsus, che mentre penso di dire una cosa me ne fanno dire un’altra. Non sono la stessa cosa delle libere associazioni, ma se invece di correggere “mi sono sbagliato, volevo dire che…” ci soffermiamo sulla parola usata, come sulla testa dell’elefante, possiamo avventurarci su nuove piste, che alla fine daranno maggiore spessore a quello che credevamo di voler dire.
Stati di tensione, movimenti, toni e volumi della voce, così importanti per gli attori e i musicisti, sono vere e proprie miniere di associazioni non controllate che spesso provengono dalla parte più sana e saggia delle nostre intuizioni.
Provate a dire la frase “ti voglio bene” cambiando ritmo, volume e toni, per tutta la frase o per parti di essa, e avrete un’idea di come cambi il messaggio.
La musica si caratterizza proprio per l’elevato numero di associazioni emotive ed è in un continuo processo di ricerca, come il resto dell’arte, di superamento di confini che non la rendono libera e creativa.Introduzione all’articolo bla bla bla

