Pezzi di puzzle che rappresentano tutti gli esseri umani come parti di un unico insieme interconnesso.

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By Guido Buffoli

Non siamo tutti ma neanche nessuno. Non possiamo fare a meno di tutti e di ognuno

Tutti e ognuno: un legame indispensabile

Noi abbiamo bisogno di tutti e tutti hanno bisogno di noi, esistiamo per tutti e tutti esistono per noi. Non ci saremmo senza tutti quelli che ci hanno preceduto, nessuno ci sarà senza ognuno di noi… è una realtà di una semplicità straordinaria, l’essenza dell’appartenenza al creato. Non ci sono egoismi e altruismi superiori. Semplicemente, quello che si fa confluisce nell’insieme evolutivo del mondo e, in particolare da parte degli uomini, nell’umanosfera.

A questo posso presumere alludessero le parole del Profeta quando disse: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Al di là di confronti teologici sulla figura divina o umana di Gesù, è una splendida intuizione e rappresentazione delle interconnessioni con tutti dall’inizio dei tempi, ben comprese dal Cantico di Francesco.

Tutti, nessuno, centomila specie in evoluzione

Tutti, nessuno, centomila, milioni, miliardi moltiplicati. “Homo homini lupus…” Eppure, abbiamo bisogno di riconoscere il gruppo, la famiglia allargata degli animali, di inventarci il Libro della Giungla, dove persino un umano apprende da loro quello che gli uomini non insegnano. Di inventarci Tarzan, che parla e ascolta gli animali e, dopo essere tornato alla civiltà, preferisce fare ritorno nuovamente nella natura dai suoi gorilla, leoni, elefanti.

Le evoluzioni del tutto e delle specie si rincorrono nei secoli e nelle stagioni, si ostacolano, si sostengono, si modificano, in tanti modi che sfuggono, pur di sopravvivere. Molte specie scompaiono, si estinguono. Molte per la cosiddetta mano dell’uomo, che a sua volta apparteneva a diversi ominidi, alcuni evoluti, altri scomparsi. Avvengono cambiamenti in un turbinio intersecante che, fin dall’inizio dei tempi, sono assai più numerosi e mobili delle miriadi di pulviscoli illuminati controluce dal sole, e molto di più del baluginio delle stelle nel buio della notte.

Pietas e ferocia: la nascita del sentimento umano

Nel tempo, anche la ferocia della barbarie, spenta e riaccesa a ogni guerra, è stata attraversata da fiammelle e incendi di silenziosa pietas, contrapponendo la pura sopravvivenza alla scoperta di embrioni emotivi contenenti tracce di sé e dell’altro.

Caino e Abele, mescolando i corpo-pensieri di Adamo ed Eva, hanno impresso il peso dell’omicidio e della colpa, la maledizione degli dei, la perdita del paradiso terrestre e l’avvento delle tenebre. Eppure, i resti dei neandertaliani ci raccontano di chi anche allora si prendeva cura dei malati senza abbandonarli.

La bilancia dei dubbi e la nascita del pensiero

La bilancia dei dubbi e dei conflitti umani ha dovuto cercare pesi e contrappesi per riempire il vuoto, per fermare oscillazioni parossistiche. La nascita del pensiero, indissolubilmente legata al dolore smembrante della perdita della simbiosi, come secondo taglio ombelicale avvertito in un frammento di drammatica consapevolezza, ha emesso il suo grido miriadi e miriadi di volte, il suo respiro di vita, strappandolo alla morte per accorgersi di esistere e cominciare a sperare.

Tutti per uno, uno per tutti

Per quante volte e in quante sfumature diverse si è ripetuto questo rito iniziatico, in cui la bilancia traballante non può sottoscrivere che la vita è uguale per tutti, eppure… Tutti per uno, uno per tutti, vale se riusciamo a rappresentarci che comunque ogni neonato trasmetterà agli altri questa fondamentale esperienza, iscrivendola e rendendola quanticamente trasmissibile nell’eros del DNA e dell’epigenetica.

Questo per cominciare, ma se lo allarghiamo a ogni attimo esperienziale vissuto in seguito, proviamo a immaginare quanto tutti, ognuno, raccolgono e hanno raccolto, diffuso memorie di corpo-pensieri, di corpo-emozioni che ci legano e ci interconnettono profondamente gli uni agli altri.

Società umane, libertà e illusioni

Nei secoli gli uomini hanno sognato di costruire società migliori, più giuste, democrazie, socialismi, comunismi, matriarcati, patriarcati, alternando dittature politiche e religiose smaccate ad altre travestite, inseguendo idealizzazioni che da libertarie viravano in libertine o liberticide.

Non basta dire “io sono libero”, ma saper dare agli altri libertà… parola gridata da alcuni, anche mentre li torturavano, rinnegata da altri per paura di perderla. L’uomo è passato attraverso la paura di essere schiavo e burattino degli dei, assolvendosi dalle scelte, dalle responsabilità… manipolando il detto “non si muove foglia che Dio non voglia”, e la rivendicazione illusoria di essere arbitro e padrone del proprio destino… “volere è potere” e persino “la fede sposta le montagne”.

L’umanosfera: il respiro del tutto

L’evoluzione umana, nella sua microscopica, terribile, incredibile, sfuggente complessità, non è un movimento a sé stante. Fa parte delle meraviglie del creato e si raccoglie in quella che chiamo umanosfera, dove si accumulano tutte le nascite del pensiero e tutti i corpo-pensieri che la persona esprime. E questi non solo non vanno perduti, ma si aggregano con quelli degli altri, passati e futuri, in uno scorrere in cui, come nella natura, si avvicendano ogni sorta di meteo-emotivi… albe, tramonti, aurore boreali, terremoti, gelate, siccità… stagioni avare e piene di messi.

Possiamo essere spettatori, barboni, intellettuali, guerrafondai, ladri, santi e tant’altro, rimaniamo comunque parte del tutto, e anche senza fare niente modifichiamo il tutto e ne veniamo continuamente modificati. Lo facciamo da osservatori, da recettori, da trasmettitori, persino da illuminati… si può in parte scegliere.
Comunque, per altre parti siamo tutti e anche tutto il resto.

L’appartenenza oltre la morte

Non c’è aggregazione politica, né tifoseria, né movimento, né fede che offra un’appartenenza paritaria, una longevità come il far parte dell’umanosfera, dove lo scopo, il senso dell’esistere, donano una dimensione così allargata, umile, senza pretese, con enormi possibilità di partecipazione persino oltre la cosiddetta morte fisica. Si può superare il confine del giudizio arcaico e superegoico, ci si perdona in buona parte, se si riconosce la complessità dell’essere insita in noi e sconosciuta nei suoi insiemi. Si impara a riacquistare quei sensi che abbiamo limitato, credendo di dover dare più spazio alla mente che al corpo, si allontana il senso della solitudine, si allarga la famiglia al gruppo, facendole conoscere la varietà dell’inconscio collettivo istintuale, si riduce il ricorso all’immaginario dei fantasmi delle ansie e del panico e la paura della morte.

Pulvis es: la polvere di tutti

“Pulvis es, et in pulverem reverteris” acquista altri significati, se la polvere ci rimanda a quella cosmica originaria, al fango, all’argilla con cui si dice che Dio abbia creato l’uomo e ogni altra cosa vivente, o ai frammenti provenienti dal Big Bang. Le nostre ossa possono contenere tracce di DNA, le nostre polveri non sono solo humus per la terra, ma pulviscoli dei nostri corpo-pensieri che in ogni caso modificano qualcosa.

Le tombe, le urne funerarie possono essere non solo luoghi di memoria, ma condomini ancora attivi che ci insegnano a parlare con l’aldiquà dell’umanosfera.
La cremazione, le ceneri che vorremmo sparse e restituite alla natura, in tanti modi diversi dimostrano non solo il bisogno, il desiderio di non sparire, di non essere dimenticati, ma anche lampi di intuizione che questo avviene davvero. Perché i complessi passaggi di aggregazione che portano alla vita, e quelli altrettanto articolati che portano alla morte, non sono agli estremi ma si toccano, ridando consistenza persino alle persone andate in fumo nei campi di concentramento. Parafrasando De André: “dai diamanti non nasce niente, dal letame…”, anche dalla polvere nascono fiori. Di sicuro finché dura l’umanità, dura l’umanosfera e le scintille dei corpo-pensieri di tutti.

Tutto di tutti

Nel mega condominio di cui siamo tutti inquilini, “questo è mio” perde di senso, non ci sono più muri, piani e appartamenti da picchettare. Nessuno può credere davvero di possedere la terra, dicevano i pellerossa. Anche Tolstoj faceva dire a un cavallo che non capiva come gli uomini potessero sentirsi padroni di un animale, di una pianta, di un prato. In questo senso noi non possediamo l’universo e l’universo non ci possiede. Anche la più piccola cosa, bella o brutta che sia, che facciamo, o che ci fanno, sarà di tutti e di ognuno.

Questa continua intersoggettività — anche se non ci è dato di prevedere e controllare quali destini andrà a sfiorare, o smuovere — fonda il senso più profondo del perdono e della tolleranza sopravanzando nella visione così allargata la colpa e il giudizio se… non solo le stelle ma anche gli uomini stanno a guardare, ascoltare, toccare e annusare, trasformandosi in portatori di pace.